Un libro da leggere per conoscere da vicino quel drammatico periodo della storia d’Italia fra la dittatura fascista e l’occupazione nazista è certamente “I miei sette figli” di Alcide Cervi. Dove i sette figli non sono altri che i famosi fratelli Cervi, divenuti un simbolo della Resistenza italiana al nazi-fascismo, barbaramente uccisi dai fascisti nel dicembre del 1943.
Alcide Cervi, loro padre, è l’autore di questo libro edito in Italia nel 1955 e tradotto in tantissime lingue. Nacque a Campegine (Reggio Emilia) nel 1875 da una famiglia contadina che lavorava la terra a mezzadria, una forma di contratto agricolo che prevedeva che almeno la metà dei prodotti venissero consegnati ogni anno al proprietario del terreno. Si trattava di una forma di contratto allora molto diffuso in Italia che lasciava un misero margine di utile a chi lavorava duramente (abolita soltanto nel ’64).
Il vecchio padre racconta la storia della sua famiglia che con il lavoro tenace, lo studio, l’intelligenza iniziò a migliorare la condizione di dipendenza dal padrone abbandonando la mezzadria ed affittando un campo che riuscirono a rendere più produttivo inserendo importanti innovazioni.
Alcide ed i suoi sette figli maschi, fortemente uniti e solidali fra loro, maturarono una coscienza profondamente democratica e una intolleranza delle ingiustizie che li portò a prendere attivamente parte alla resistenza antifascista con la diffusione della stampa clandestina e la propaganda. La loro azione si intensificò dopo l’armistizio e la conseguente occupazione tedesca quando presero le armi ed intrapresero azioni di sabotaggio contro i nazifascisti. Presi prigionieri, furono torturati e poi fucilati dai fascisti il 28 dicembre 1943.
Unico superstite il vecchio padre settantenne che tornato dalle donne e dai nipoti, nonostante fosse affranto dal dolore, riprese il suo ruolo di capofamiglia con maggiore forza e determinazione “Quando mi dissero della morte dei miei figli, risposi: dopo un raccolto ne viene un altro. Ma il raccolto non viene da sé, bisogna coltivare e faticare, perché non vada a male. Avevo cresciuto sette figli, adesso bisognava tirare su undici nipoti”.
Negli anni successivi dopo la liberazione finché visse mantenne viva la memoria del sacrificio dei suoi figli e dei tanti antifascisti uccisi in quel periodo buio parlando, insegnando ai giovani e poi con questo libro.

Il suo racconto è piano e ricco di sentimento, gli affetti domestici si fondono con una profonda fede democratica e con la convinzione che con il grande impegno e la fatica si può realmente migliorare non solo la propria condizione, ma anche quella della società in cui si vive.
Il libro fu stampato la prima volta nel 1955 e tradotto in moltissime lingue, fra cui lo spagnolo grazie alla casa editrice argentina Futura. L’edizione spagnola è quindi in realtà argentina, visto che in Spagna negli anni ’50 c’era la dittatura di Franco e un libro del genere era proibito.
I miei sette figli è diventato un documento fondamentale dell’epopea partigiana italiana. La vicenda dei sette fratelli assassinati contemporaneamente infatti rimase e rimane nella storia della resistenza italiana come un episodio fra i più significativi e capaci di suscitare emozione.
Curiosità
Intorno alla figura dei fratelli Cervi, che sono stati insigniti anche della medaglia d’argento al valor militare, sono state scritte numerose canzoni, ed è stato girato un film in cui figura come attore Gian Maria Volontè. Una delle canzoni più famose è “La pianura dei sette fratelli“, dei Gang, che riportiamo qui sotto. La canzone è stata poi cantata anche dai Modena City Ramblers nell’album “Appunti partigiani”.
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