“Canne al vento” è forse il romanzo più famoso di Grazia Deledda, la scrittrice sarda che è stata la prima donna italiana a ricevere il premio Nobel per la letteratura nel 1926 e che ha narrato con commossa partecipazione del suo popolo dalla civiltà millenaria ma come congelata in una secolare immobilità. Il titolo del romanzo allude al tema profondo della fragilità umana e del dolore dell’esistenza. “Siamo proprio come le canne al vento […]. Siamo canne, e la sorte è il vento“.
Le tre sorelle Pintor sono le ultime discendenti dei baroni di un piccolo paese sardo vicino a Nuoro, sul quale dominano le rovine del vecchio castello feudale. Nubili e sole le sorelle vivono in povertà e rassegnazione nella casa di famiglia che ormai cade in rovina; soprattutto Noemi, la più giovane, nonostante la povertà sostiene rigidamente ed orgogliosamente i pregiudizi di casta.
Unico ad occuparsi di loro è il vecchio servo Efix che le protegge come può e coltiva per loro l’unico campicello che è rimasto dei possedimenti di famiglia, in un mondo arcaico popolato di folletti, fate e delle anime dei morti. È l’unico a sapere la verità sulla fuga della quarta sorella e sulla morte del loro padre. Questo mondo contratto in un’immobilità senza orizzonti, in cui norme etiche secolari continuano a regolare i rapporti fra le persone, viene sconvolto dall’arrivo dal continente di Giacinto, il figlio della quarta sorella. Occorrerà che un nuovo equilibrio si crei attraverso la sofferenza, l’autoumiliazione e la nascita di una nuova coscienza che vada oltre i tabù e i pregiudizi.
Alessandra G.
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