Parliamo dell’ultimo libro di Maurizio de Giovanni, “Una domenica con il commissario Ricciardi” edito da Skira.
Il commissario Ricciardi è il protagonista di un ciclo di romanzi ambientati nella Napoli degli anni trenta in cui, in pieno regime fascista, le differenze fra la miseria della povera gente che vive sempre alla ricerca di un modo di sbarcare il lunario e i borghesi benestanti sono sempre più marcate. Ricciardi ha un “dono” o sarebbe meglio dire una maledizione: è in grado di percepire gli ultimi istanti di vita e le ultime parole delle persone che hanno subito una morte violenta nel luogo in cui questa è avvenuta. Per questo motivo le vie e i vicoli della città si popolano per lui di vittime straziate che gli riversano addosso tutto il loro dolore.
Questa terribile capacità lo ha reso triste e solitario, con pochissimi amici, ma è stata anche la ragione per cui ha deciso di intraprendere la carriera di poliziotto, per cercare di smascherare i colpevoli di tanti fatti violenti. E’ un commissario integerrimo, incurante delle gratifiche dei superiori, ma sensibile alle vicende dei più umili.
Un romanzo diverso, arricchito da fotografie della Napoli degli anni ’30
Questo ultimo romanzo, a differenza degli altri, non è un’indagine su un caso poliziesco, ma si svolge in una calda domenica di settembre al un tavolino del caffè Gambrinus in cui fra lo struscio dei passanti si intrecciano i racconti e i ricordi delle persone che più gli stanno vicino: l’amico medico, il brigadiere Maione, la giovane donna di cui il commissario è segretamente innamorato, la ragazza che gli governa la casa. Quello che ne viene fuori è un affresco vivo e pieno di partecipazione emotiva della Napoli di quegli anni reso ancora più reale dalle splendide fotografie d’epoca che accompagnano la narrazione.
Fra queste sono singolari le fotografie della Festa della ‘Nzegna una ricorrenza molto antica dedicata alla Madonna della Catena che si svolgeva nel quartiere di Santa Lucia il giorno di San Lorenzo, celebrata soprattutto da pescatori e marinai, ma molto sentita da tutta la popolazione. Continuò ad essere festeggiata fino agli anni ’50 del secolo scorso.
Durante la festa sfilava un corteo in costume borbonico in cui due popolani vestivano i panni di Ferdinando I di Borbone e della moglie Maria Carolina d’Austria. Lo stesso re Ferdinando partecipava divertendosi molto, era soprannominato il “re lazzarone” per l’abitudine che aveva avuto in gioventù di frequentare giovani popolani sfaccendati chiamati appunto lazzaroni dallo spagnolo lázaros.
La festa si chiamava della ‘Nzegna da “insegnare” perché si “insegnava” a nuotare ai malcapitati passanti gettandoli in acqua loro malgrado.
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