
MADRID. Sono ore drammatiche per il Partito Socialista spagnolo (PSOE). Una grave guerra interna è scoppiata ieri sera nel Partido Socialista Obrero Español, i cui esiti sono imprevedibili in queste ore. Ben 17 membri dell’esecutivo dello storico partito della sinistra spagnola si sono dimessi in massa in contrasto con l’attuale leader Pedro Sanchez.
Soltanto tre giorni fa i socialisti hanno ricevuto l’ennesima batosta elettorale alle elezioni regionali in Galizia e nei Paesi Baschi: una goccia che ha fatto traboccare il vaso scatenando l’ira di una parte del Partito, da mesi in aperto contrasto con Sanchez.
Una crisi inedita e storica nel Partito Socialista spagnolo
Non era mai successo nella storia recente della democrazia spagnola (dal 1975 in poi) che una crisi così grave scoppiasse in seno al PSOE. Partito che, fino alle elezioni del 20 dicembre 2015, è stata una delle due uniche grandi forze politiche del paese insieme al PP (Partido Popular). Un partito che inoltre ha guidato il paese per molti anni, dapprima sotto la guida di Felipe Gonzalez (1982-1996) ed in seguito con la guida di Zapatero (2004-2011).
Dal 2011 ad oggi però, la perdita di voti è stata costante e drammatica.
La critica rivolta al leader socialista: non aver detto “sì” a un governo delle larghe intese con il conservatore Rajoy

Una delle critiche politiche più forti rivolte da una parte del partito a Pedro Sanchez è il suo “no” incondizionato a un governo delle larghe intese insieme al Partido Popular del conservatore Mariano Rajoy.
Nonostante la minaccia di una convocazione di terze elezioni generali in pochi mesi, Sanchez ha fatto muro contro le lusinghe dei conservatori, che proponevano dal gennaio scorso un governo di grande coalizione che tenesse lontano dal potere Podemos e Ciudadanos, i nuovi partiti emersi alle elezioni del 20 dicembre 2015.
Sanchez ha invece sbattuto la porta in faccia a Rajoy affermando che “non si può permettere ad un partito sommerso dagli scandali di corruzione e che ha fatto retrocedere la Spagna sul piano dei diritti, di continuare alla guida del paese”.
Sanchez ha dialogato con Podemos e con Ciudadanos, tentando con questi due nuovi partiti di formare un governo “del cambiamento”, fallendo però a seguito di alcuni contrasti con Podemos, e per la mancanza dei voti necessari.
Un colpo di mano contro il primo leader socialista spagnolo eletto dai militanti mediante primarie

Quello andato in scena ieri sera a Madrid è un vero e proprio colpo di mano da parte di una grossa componente del Partito Socialista. L’abbandono in massa dei membri del comitato esecutivo fa sì che – di fatto – Pedro Sanchez sia sfiduciato dalla cupola del partito (il comitato è composto da 35 membri) e perciò non più riconosciuto come leader.
Il socialista però, un uomo di 44 anni laureato in Economia, è stato il primo Segretario del PSOE eletto tramite primarie, scelto quindi dalla maggioranza dei militanti. Venne eletto il 13 luglio del 2014 da un 49% degli elettori, diventando il successore del precedente leader, Alfredo Pérez Rubalcaba. E proprio al voto dei militanti si appella ora, per rimanere alla guida del partito.
Pedro Sanchez, ieri pomeriggio, aveva convocato primarie per il 23 ottobre, chiedendo ai militanti di esprimersi su chi debba essere il leader del partito. Si trattava di una data al limite, perché entro il 1° novembre, se non si formerà un governo, la Spagna andrà a votare per la terza volta in pochi mesi. La dimissione di massa della metà della cupola del partito mette però in serio pericolo questa sua mossa, perché le primarie devono essere approvate proprio dal comitato esecutivo che da ieri sera è dimezzato. Gli esiti di questa grave spaccatura sono imprevedibili.
La stampa spagnola: Sanchez “è finito”. Il giornale El Paìs : “se ne deve andare” [GALLERIA DI PRIME PAGINE]
Qui sotto una carrellata di prime pagine dai giornali spagnoli di questa mattina. Danno tutti ampio risalto alla grave guerra scoppiata in seno al PSOE. El Paìs, storico giornale progressista spagnolo, sta adottando toni molto duri contro Pedro Sanchez, considerandolo ormai “finito”.
Lorenzo Pasqualini
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