Ancora stragi di migranti nel Mediterraneo, la Libia è il giusto “partner”?

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Immagine di repertorio. Fonte: Open Arms

ROMA. È di appena due giorni fa l’ultima, terribile, notizia dell’ennesimo naufragio nelle acque del Mediterraneo. Nella mattina del 18 gennaio infatti, è stato reso noto il rovesciamento in mare di due gommoni con a bordo, in totale, 173 migranti. Il bilancio ci fornisce dati di una vera e propria strage, sono infatti 170 le persone che hanno perso la vita (o che sono tuttora dispersi) nei due incidenti in mare.

117 migranti sono morti a causa del naufragio del primo gommone, avvenuto a circa 45 miglia dalle coste della Libia, 53 sono invece annegati nel Mare di Alboran, nel Mediterraneo occidentale, mentre cercavano di raggiungere le coste della Spagna.

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Il Ministro degli Interni Matteo Salvini non cambia rotta, dichiarando: “Le ong si scordino di ricominciare la solita manfrina del porto in Italia o del Salvini cattivo. In Italia no”. La politica dichiarata del Governo è infatti quella dell’”immigrazione zero”, la quale punterebbe su una diretta collaborazione da parte delle autorità libiche per il blocco degli scafisti in partenza dalle proprie coste.

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Gli unici tre superstiti che erano a bordo della prima imbarcazione hanno dichiarato: “meglio morire piuttosto che tornare in Libia”. C’è chi, questa pericolosissima traversata per raggiungere le coste europee la prova svariate volte, rischiando la propria vita, pur di non restare nelle carceri libiche.

La Libia non è un luogo sicuro: “violazioni dei diritti umani”

La Libia non è infatti un porto sicuro, ed all’interno delle sue strutture di detenzione dei migranti si registrano gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali. In un rapporto redatto dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) e dalla Missione di supporto dell’ONU in Libia (UNSMIL), del 20 dicembre 2018, vengono infatti denunciate, attraverso testimonianze dirette, le atrocità subite dai migranti all’interno dei centri. “Orrori inimmaginabili”, così vengono descritti da coloro che li hanno vissuti sulla propria pelle.

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L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, meglio conosciuto come principio di non non refoulment, impedisce in qualsiasi forma il respingimento o l’allontanamento forzato verso un Paese non sicuro, dove la vita, i diritti e le libertà fondamentali siano messe seriamente in pericolo. Per effetto della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tale principio si applica anche a coloro ai quali non sia stato ancora riconosciuto lo status di rifugiata/o, come nel caso dei migranti che arrivano via mare. Il principio è inserito anche tra gli obblighi internazionali in materia di prevenzione di violazioni gravi dei diritti umani.

Le ONG lamentano la scarsa efficienza della Guardia Costiera libica, e soprattutto la totale mancanza di un programma europeo di salvataggio. Con la OpenArms bloccata in Spagna e la Sea Eye in cerca di un porto per cambio di equipaggio, è la sola Sea Watch impegnata a coprire un pezzo di mare troppo grande per le sue capacità. Il Mediterraneo, ad oggi, è praticamente sguarnito di soccorsi.

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Mattia Marino

Mattia Marino, nato a Narni 27 anni fa, laureato in Relazioni Internazionali a Perugia, e specializzato in diritti umani e cooperazione internazionale. Ho vissuto in Spagna per quasi tre anni come studente e tirocinante tramite il Programma Erasmus+

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