MADRID. La Spagna ha vissuto per tredici giorni con il fiato sospeso, in attesa che venisse salvato il piccolo Julén, un bimbo di due anni finito dentro un pozzo nella provincia di Malaga, in Andalusia. Alla fine, nella notte fra il 25 ed il 26 gennaio, il cadavere del bimbo, probabilmente deceduto già nella caduta, è stato trovato.
Era il 13 gennaio quando il bimbo di due anni cadeva in un pozzo molto profondo (oltre 100 metri) e molto stretto (circa 25 centimetri di diametro) nelle campagne di Totalàn. Da allora è stata messa in piedi una gigantesca operazione di soccorso, con lo scavo di un pozzo parallelo molto più largo, che ha permesso a un gruppo di minatori esperti in salvataggi nelle miniere delle Asturie, di scendere fino all’altezza di -73 metri grazie ad una capsula, come un ascensore.
Una volta arrivati a quella profondità, è stato scavato a mano e con micro-cariche esplosive un tunnel orizzontale, che ha permesso di raggiungere il pozzo dove si trovava Julén. Le operazioni di soccorso sono durate 13 giorni, per l’enorme difficoltà dello scavo, e per ostacoli trovati lungo il percorso, come la presenza di strati di roccia.
Una enorme attenzione mediatica
Intorno alle operazioni di soccorso, durate 13 giorni, l’attenzione mediatica è stata altissima. Non solo in Spagna: anche in Italia è stata seguita da molti giornali. Ma nel paese la sovraesposizione mediatica di questo drammatico tentativo di salvataggio ha fatto grattare la testa a molti. Ogni giorno speciali, sui giornali, in Tv, alla radio, dirette dal luogo dello scavo, interviste alle persone che partecipavano alle operazioni di soccorso. Davvero era opportuno seguire con tanti dettagli e con tanta morbosità una immane tragedia che riguardava un bambino di due anni? Il circo mediatico ha raggiunto il culmine l’ultimo giorno, il 25 gennaio, quando Tv e giornali online hanno trasmesso dirette video dal luogo dello scavo.
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