Elezioni politiche in Spagna, l’intervista a Riccardo Pennisi

congresso deputati madrid
Il Congresso dei Deputati di Madrid (26 aprile 2019)

L’intervista sulle elezioni politiche del 28 aprile 2019 in Spagna a Riccardo Pennisi collaboratore di Limes, Ispi, Il Mattino e coordinatore delle tematiche europee presso AspeniaRiccardo Pennisi è analista di politica europea ed è autore del libro “Europei? Fotografia di un continente disorientato” (Apes 2014)

Buongiorno Riccardo Pennisi. Il 28 aprile in Spagna si sono tenute le elezioni politiche anticipate. I socialisti hanno vinto ma dovranno fare alleanze per governare, mentre il sistema elettorale ha penalizzato la frammentazione della destra facendogli ottenere meno deputati. Le sinistre hanno vinto, ma in termini di voti reali le cose sono un po’ più complesse. Come mai?

La campagna per il voto in Spagna è stata rapidissima, perché Sanchez voleva approfittare del vento in poppa e della divisione della destra, ma non per questo è stata meno dura e ideologizzata. Ne è risultato un grande aumento della partecipazione. Analizzando in profondità i dati si scopre che il tripartito di destra e le due forze di sinistra sommano all’incirca lo stesso numero di elettori. A dare la vittoria alla sinistra c’è una migliore distribuzione sul territorio nazionale: i socialisti e Podemos coprono sia le aree della Spagna culturalmente tradizionaliste come la Castiglia o l’Andalusia che quelle plurilinguiste e dinamiche come Catalogna e Paese Basco. Le tre destre vanno fortissime al centro della Spagna, in un’area territorialmente molto grande dove però paga la concorrenza tra i suoi tre partiti, ma scompare dalle aree plurilinguiste, dove gli elettori hanno rifiutato la sua proposta politica centralista.

In una parte dell’elettorato in Spagna c’era molta preoccupazione per l’ascesa del partito Vox. Il risultato di domenica (oltre il 10% di voti e 24 deputati) è stato salutato da molti come positivo, perché si temeva che il partito potesse ottenere un maggior appoggio. Si tratta però pur sempre di una forza politica che non si vergogna a risuscitare i fantasmi del franchismo, e che nel giro di pochi mesi è passata dall’inconsistenza ad essere una forza parlamentare di tutto rispetto. C’è stato troppo entusiasmo nella lettura di questo risultato?

L’errore sarebbe sminuire il risultato di Vox. E’ vero che alcuni sondaggi prevedevano una vittoria più travolgente, ma è anche vero che il 10% di Vox si trasforma in percentuali più alte in varie altre zone, tra cui Madrid. Nella capitale e in altre 12 regioni si voterà il 26 maggio anche per le amministrative, e questi voti potrebbero pesare sulle future alleanze locali com’è già successo in Andalusia. Inoltre, il successo di Vox è stato politico: la sua narrativa estremista ha contagiato gli altri due partiti, Partido Popular e Ciudadanos, trascinandoli ben lontani dal centro.

L’irruzione del partito di estrema destra Vox sul panorama politico spagnolo potrebbe aver mobilitato l’elettorato di sinistra? I dati di affluenza mostrano un aumento considerevole della partecipazione al voto.

Sicuramente sì. Vox è stata una delle chiavi grazie alla quale Pablo Iglesias – oltre a una campagna elettorale ben riuscita – è riuscito a mobilitare l’elettorato di Podemos: il suo 14% è meno che in passato, ma non è l'”estinzione” che molti pronosticavano pochi mesi fa. E Vox ha spinto alle urne anche molti difensori delle autonomie locali, non solo nel Paese Basco e in Catalogna dove l’affluenza alle urne è cresciuta intorno al 10%, spaventati dalle frasi di Abascal sulla “Reconquista” della Spagna e sulla difesa della nazione “a qualunque costo”. E’ stato un grande errore del PP non distanziarsi da questa narrativa e permettere che la sinistra si mobilitasse – com’era avvenuto anche in occasione di un’altra memorabile sconfitta della destra, nel 2004.

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Dividendo la Spagna in blocchi di destra e sinistra, è corretto posizionare Ciudadanos nel blocco di destra? Inizialmente questo partito dava una percezione di forza politica centrista ed all’estero questa percezione di partito centrista è ancora presente in certe analisi. Le cose sono cambiate negli ultimi anni?

Albert Rivera non ha compiuto a cuor leggero la scelta di associarsi con PP e Vox. Occupare il centro dello schieramento, in una situazione frammentata, garantisce la condizione di arbitro della politica: Rivera fino a pochi mesi fa si immaginava al governo, a fare da “ponte” tra la destra dei popolari e la sinistra dei socialisti. Tuttavia, le regionali in Andalusia e la debolezza del PP di Casado lo hanno convinto che anche a destra c’era da guadagnare: se il Partido Popular si sfalda, i suoi elettori e i suoi dirigenti potrebbero confluire (come già hanno iniziato a fare) in Ciudadanos, rendendolo egemone a destra e trasformando Rivera nel capo dell’opposizione alla sinistra. Casado e Rivera si peseranno alle amministrative e alle europee: attenzione però a dare per morto un partito roccioso come il PP.

C’è una possibilità reale che i socialisti e Ciudadanos realizzino un patto di governo? E non sarebbe un “tradimento” verso l’elettorato socialista?

Questa possibilità piace alla UE (che vive su accordi tra socialisti, liberali e conservatori), piace agli ambienti economici e mediatici madrileni e una volta piaceva anche ai due interessati, perché gli permetteva di superare la logica della Spagna divisa: sia Rivera che Sanchez non amano l’idea di essere il presidente “di una parte”, ma lo vorrebbero essere “di tutti”. Ma al momento quest’alleanza non è più nelle cose. Rivera si è lanciato alla conquista della destra. Vedremo se lo ha fatto con troppa leggerezza.

Ma al momento fare la stampella dei socialisti non gli interessa. Preferisce che Sanchez sia obbligato a guardare a sinistra e ai nazionalisti baschi e catalani per fare il suo governo, un governo che così sarebbe molto più facile attaccare da destra, e più instabile.

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Dal punto di vista socialista, il peso ideologico nella campagna elettorale ha trasformato Ciudadanos in un nemico, almeno per i militanti. D’altronde, Rivera ha attaccato senza sosta Sanchez, arrivando a chiamarlo traditore della Spagna per il suo dialogo con i partiti indipendentisti che governano la Catalogna.

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La divisione della Spagna in due blocchi, sinistra e destra, funziona in quasi tutto il paese: vanno però presi in considerazione anche i partiti regionali, ad esempio quelli delle Comunità autonome della Catalogna e dei Paesi Baschi, che ottengono molto appoggio in quelle regioni.

Certo, un appoggio molto importante. E’ significativo che in Catalogna ERC, il partito di Junqueras, in carcere da un anno e mezzo e sotto processo per sedizione, sia stato il più votato. Nel Paese Basco il pragmatico PNV è saldamente il partito che i baschi considerano rappresentare al meglio i propri interessi. Ma questi partiti non sono neutrali nella divisione tra le “due Spagne”: il blocco di destra vorrebbe metterli fuori legge quasi tutti, mentre solo da sinistra arrivano aperture politiche nei loro confronti. Aperture politiche che hanno pagato, perché sia PSOE che Podemos sono andati discretamente nel Paese Basco e in Catalogna da dove la destra spagnola, invece, è stata quasi prosciugata. Se non fosse per PSOE e Podemos, Paese Basco e Catalogna avrebbero oggi un sistema politico totalmente autonomo, come nelle Fiandre.

Per il sistema elettorale spagnolo, i partiti catalani e baschi – forti a livello locale – ottengono una rappresentanza parlamentare molto importante nel Congresso di Madrid. La Spagna è un caso a parte in questo senso, in Europa? Parliamo di decine di deputati di partiti regionali, e non solo catalani e baschi ma anche valenziani, della Galizia, della Cantabria, eccetera. Inoltre, hanno orientamenti politici diversi.

La rappresentazione parlamentare garantita, insieme alle competenze variabili delle regioni spagnole, ha moltiplicato la forza di questi partiti. Ancor più se consideriamo che spesso sono decisivi per formare maggioranze e sostenere governi. Alcuni sono abilissimi nel gioco parlamentare, come il Partito Nazionalista Basco che difende con successo privilegi che nessun’altra comunità autonoma ha. E a fine anni 90′ i nazionalisti catalani ottennero da Aznar, che non aveva la maggioranza assoluta, la devoluzione di poteri importanti a Barcellona in cambio del sostegno al suo governo. Ma non sempre gli accordi finiscono bene: le promesse disattese di nuovo Statuto regionale fatte alla Catalogna da Zapatero sono uno dei motivi all’origine della crisi catalana attuale. A volte questi partiti sono solo cartelli di interessi locali, ma in nessun altro Paese europeo, di fatto, c’è una situazione simile; nessun altro paese, va anche detto, ingloba tante “nazioni culturali” come la Spagna.

Il 26 maggio si voterà per le elezioni Europee: dalla Spagna che messaggio arriva all’Europa?

Da Bruxelles hanno apprezzato il voto spagnolo: una volta tanto, uno dei partiti principali del parlamento europeo (il PSOE è affiliato ai Socialisti e Democratici, come il PD) vince un’elezione. La campagna elettorale comunque ha praticamente ignorato l’Europa: né la destra né la sinistra ne hanno fatto una bandiera o un nemico: la UE in Spagna resta molto popolare. Conta comunque l’affiliazione “trumpiana” di Vox, partito in contatto con Steve Bannon, che non ha esitato ad adottare una narrativa anti-establishment. La sua “sconfitta” non può che fare piacere alle istituzioni europee.

Il 26 maggio si terranno anche le elezioni amministrative e regionali in Spagna. Proprio per la divisione in due blocchi che dicevamo prima, i risultati potrebbero essere diversi da quelli delle generali, visto il diverso carattere delle votazioni?

Potranno esserlo, infatti: l’Andalusia solo cinque mesi fa aveva dato alla destra il governo regionale, ma ha scelto la sinistra alle politiche. Da qui al 26 maggio, tutte le mosse dei leader saranno mosse di campagna, in una specie di secondo round del 28 aprile, tese a preparare il terreno per la battaglia finale per la costituzione del governo e per la riorganizzazione della destra. I socialisti useranno una loro eventuale vittoria per allontanarsi dal patto implicito con Podemos e cercare di governare in solitaria, perché temono l’abbraccio della sinistra radicale: come sappiamo bene in Italia, il governo di un partito grande con uno piccolo può essere molto pericoloso per quello grande.

Elezioni in Spagna, e adesso che succede?

Podemos al contrario chiederà ai suoi un segnale forte per spingere proprio in quella direzione: che Sanchez non creda di poter andare da solo! A destra, invece, le energie di Casado e di Rivera saranno tutte spese nella lotta tra l’uno e l’altro. Ciudadanos parte leggermente avvantaggiata, perché nel PP c’è maretta dopo le politiche: il partito ha perso la metà dei suoi voti rispetto al 2016. E Vox potrebbe approfittarne per trasformarsi nell’unico megafono degli anti-UE spagnoli, che pure esistono, perché gli altri non li seguiranno su quel terreno. La chiave sarà la capacità di ognuno dei leader di tenere alta la tensione dei suoi sostenitori.

Infine, concludiamo con una curiosità. C’è stata molta ammirazione in Italia per il conteggio rapido del voto spagnolo: urne chiuse alle 20 ed alle 23 risultati praticamente definitivi. L’Italia dovrebbe imparare dalla Spagna o ha pesato il sistema di voto diverso?

Non credo che gli scrutatori italiani si divertano a passare le nottate al seggio. Il sistema delle papeletas è rapido ma non sarebbe davvero ideale in Italia, dove nemmeno con le schede onnicomprensive che ben conosciamo si riesce sempre a garantire la regolarità del voto…

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Lorenzo Pasqualini

Madrid a El Itagnol
Giornalista italiano a Madrid, caporedattore di Meteored Italia e autore-fondatore del sito di informazione "El Itagnol - Notizie dalla Spagna e dall'Italia".