MADRID. Fin da inizio agosto, quando in Spagna era evidente che il numero di nuovi casi disegnava nei grafici una nuova curva e si iniziava a parlare di “seconda ondata”, in molti si sono chiesti come mai l’Italia, che ha avuto una situazione molto grave come la Spagna durante la primavera, non stesse sperimentando una situazione simile.
La Spagna aveva adottato già da fine luglio l’uso della mascherina anche negli spazi aperti, a fronte dell’aumento di nuovi casi, tanto che El Paìs arrivò a etichettare la Spagna come “il Giappone europeo” nell’uso della mascherina, in un articolo pubblicato verso la fine di luglio. Nelle città e nelle spiagge, l’uso della mascherina obbligatorio anche all’aperto e anche a distanza di 2 metri da altre persone, era molto più diffuso che in altri paesi vicini, a partire da Francia e Italia. All’inizio dell’estate lo stesso giornale scriveva: “L’Italia perde la paura del virus” e chi avesse guardato alla mascherina come unica barriera al virus, non avrebbe mai immaginato uno scenario come quello attuale, con la Spagna diventato il Paese europeo più colpito dalla seconda ondata.
L’incidenza in Italia e Spagna
Quando in Spagna durante il mese di agosto il bollettino di nuovi casi mostrava un’impennata sempre più drammatica, e in Italia no, molte persone si sono chieste come mai. Anche a fine settembre, mentre la Spagna viveva una drammatica ondata di nuovi casi (al ritmo di oltre diecimila nuovi positivi al giorno), l’Italia rimaneva al di sotto dei duemila nuovi casi di COVID-19 ogni 24 ore. In questi primi giorni di ottobre sta aumentando la preoccupazione anche in Italia, dopo il superamento della barriera psicologica dei duemila nuovi casi giornalieri, ma i dati restano comunque molto più ridotti rispetto alla Spagna.
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Per capire la differenza fra i due paesi è particolarmente utile il tasso di incidenza di nuovi casi per abitante. Secondo i dati dell’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control), in Spagna nei primi 14 giorni di settembre ci sono stati 314 nuovi casi ogni 100.000 abitanti, mentre in Italia 34. Stiamo parlando di una differenza enorme: in Italia, dieci volte meno casi ogni 100.000 abitanti rispetto alla Spagna. L’incidenza è cresciuta con forza anche nel sud della Francia, come si vede nella mappa qui sotto.

Ma anche a distanza di due settimane dalla pubblicazione della mappa che si può vedere qui sopra, da parte dell’ECDC, la situazione continuava a mostrare una netta differenza fra Italia e Spagna. Nel frattempo è aumentata l’incidenza anche in Francia e numerosi altri Paesi europei, mentre l’Italia resta al momento in una situazione migliore, con minor incidenza rispetto al resto del continente.
Come mai tanta differenza fra Italia e Spagna?
Su questo tema hanno scritto molti giornali spagnoli, cercando di rispondere a domande del tipo: “Come mai tanti casi in Spagna e non in Italia?”, “Perché l’Italia ha gestito meglio la seconda ondata rispetto alla Spagna?”. Sono tanti gli spagnoli che si sono chiesti in queste ultime settimane cosa abbia sbagliato la Spagna, sempre così vicina all’Italia anche nei comportamenti. Perché in Italia i casi rimangono relativamente bassi, mentre in Spagna sono nuovamente esplosi? Come mai tanta differenza in due Paesi colpiti in modo simile dalla pandemia e allo stesso tempo simili nei comportamenti sociali? Sì perché in molti hanno pensato alle abitudini degli spagnoli, al piacere della convivialità e del contatto fisico. Ma l’Italia in questo non è da meno.
Le ipotesi sui giornali spagnoli
Su Expansiòn il 23 settembre un articolo dal titolo “Lezioni dell’Italia alla Spagna ed alla Francia di fronte alla seconda ondata della pandemia di COVID-19” , che è in realtà la traduzione dall’inglese di un pezzo pubblicato sul Financial Times analizza i diversi motivi per cui l’Italia ha gestito meglio la seconda ondata, dal rispetto delle norme di distanziamento e igiene da parte degli italiani all’elevato numero di test e buon lavoro di tracciamento dei contagi.
El Confidencial ha pubblicato il 24 settembre un articolo dal titolo: “Una storia per capire il miracolo italiano con la seconda ondata di COVID-19 ed il fallimento spagnolo“. Nell’articolo, firmato dal corrispondente da Roma Javier Brandoli, si analizza il comportamento degli italiani nei luoghi pubblici nell’estate del 2020 arrivando alla conclusione che non c’è stato un maggior rispetto delle norme anti-Covid rispetto ai vicini europei (e alla Spagna). Il giornalista sottolinea, fra le altre cose, la scarsa attenzione all’uso della mascherina all’aperto nei mesi estivi, in Italia, e la scarsa attenzione al distanziamento sociale nei locali di ristorazione visitati. Menziona però la differenza di misure su discoteche e bar al chiuso.
Il giornalista riporta l’ipotesi, ventilata da alcuni esperti, di un lockdown più lungo. L’articolo menziona il parere di numerosi esperti secondo i quali “l’incendio era stato domato meglio in Italia, a giugno, rispetto ad altri paesi”. In sostanza, quando a giugno sono avvenute le riaperture, in Italia il virus circolava meno rispetto ad altri paesi, dove restava ancora in circolazione un numero elevato di casi positivi e dove quindi la curva è risalita prima.
Su La Vanguardia di sabato 26 settembre un articolo della giornalista Anna Buj torna sullo stesso tema. Il titolo è: “Le lezioni dell’Italia”. Anche qui si parla di un lockdown più duro in Italia, che avrebbe portato a risultati migliori nei mesi estivi, un risultato ancora oggi visibile. “L’Italia è uscita dal lockdown con più lentezza”, si legge nell’articolo. Si fa riferimento anche, più che al confinamento della popolazione, alla lenta riapertura delle fabbriche, più lenta in Italia rispetto ad altri Paesi (Spagna compresa). Si fa riferimento anche qui al gran lavoro di tracciamento e all’investimento importante che è stato fatto per potenziare la sanità pubblica.
Nell’articolo si fa riferimento poi allo stupore dei vicini europei di fronte alla buona gestione italiana, perché in certi paesi permane ancora lo stereotipo di una Italia caotica nella gestione delle emergenze e poco incline al rispetto delle norme.
In un altro articolo, pubblicato su “El Español” sotto il titolo “L’Italia ci ha svegliato dal sonno dell’estate“, si analizzano i dati dei casi rilevati con i test. Da quest’analisi emerge che, sebbene l’Italia sia stato il primo Paese europeo ad essere investito dall’onda di contagi (l’autore dell’articolo ipotizza che la presenza di un volo diretto Wuhan-Milano, che non è presente in altre città europee, spieghi questo fatto), la Spagna ha superato già a marzo-aprile l’Italia in numero di casi rilevati. Inizialmente questo divario (comunque importante se si pensa che la Spagna ha circa dieci milioni di abitanti in meno), era minore, ma è andato aumentando con forza nei mesi di luglio e agosto. Oggi, la Spagna ha superato la barriera dei 800.000 casi rilevati, mentre l’Italia non ha raggiunto quota 400.000.
L’autore ipotizza che la Spagna abbia sbagliato qualcosa nella fase della “desescalada” (che su El Itagnol abbiamo seguito con questo tag), quindi nella lenta riapertura del Paese dopo il rigido lockdown. “La fine dello stato di allarme ed il ritorno delle competenze sanitarie alle Regioni non ha funzionato in Spagna”, scrive Miguel Sebastiàn, “mentre in Italia lo stato di emergenza dura ancora, con risultati molto migliori” (a proposito, il 6 ottobre è stato deciso una sua proroga fino al 31 gennaio 2021).
L’autore ipotizza che il motivo del miglior siultato italiano sta in un uso più efficiente dei test (entrambi i Paesi hanno realizzato un numero simile di test, circa 11 milioni, scrive Sebastiàn) e nel rafforzamento della sanità locale e prima assistenza (medici di famiglia e Asl), cioè la prima barriera sanitaria di fronte al virus. Altra ipotesi è che siano stati fatti migliori confinamenti delle persone positive, con isolamento rigoroso e controllato anche degli asintomatici. Insomma, sono stati gestiti meglio i focolai. Quei focolai di cui si parlava tanto in estate e che ormai si sono estesi fino a rappresentare una nuova ondata di casi.
Anche la BBC, nella sua versione in spagnolo, ipotizza che lo stato di emergenza ancora attivo in Italia facilita la messa in atto di misure urgenti, come accaduto a metà agosto quando dall’oggi al domani il Governo nazionale ha imposto lo stop ai locali notturni e l’obbligo di mascherina nei luoghi della movida. Anche il 6 ottobre la decisione di adottare l’uso della mascherina in tutto il territorio nazionale è stata rapidamente adottata con un decreto legge. In Spagna, il braccio di ferro fra governo regionale di Madrid e governo nazionale nella gestione dell’emergenza che vive la capitale ha mostrato tutti i limiti di una gestione non centralizzata, portando a un vero caos.
Cosa ha sbagliato la Spagna? Ancora altri articoli
In un articolo pubblicato da El Paìs intitolato “Perché ha fallito in Spagna la “nuova normalità” (così era stata chiamata dal Governo la nuova fase posteriore al lockdown), si elencano ancora altre ipotesi degli esperti. Una delle principali, anche in questo caso, è una fine troppo rapida delle restrizioni, specialmente nelle aree che erano state più colpite. La regione di Madrid, ad esempio, è passata a giugno da una situazione di pesanti restrizioni alla “nuova normalità” nel giro di pochi giorni (anche in quel caso c’era stata una “battaglia” fra governo regionale, governato dal PP con Ciudadanos, e nazionale). Questo non vuol dire che i mesi di “lockdown” erano stati pochi: il problema è che un’area così colpita dal virus, aveva al suo interno ancora troppi casi per passare già a una situazione di quasi normalità.
Anche in questo articolo si individuano gli altri problemi: la mancanza di tracciatori, quindi di persone che per lavoro devono ricostruire l’albero di contatti di ogni positivo (soltanto a settembre ci si è accorti della carenza e sono stati messi in campo settemila soldati con compiti di tracciamento), ed un sistema di medici di famiglia (“asistencia primaria”) con personale insufficiente a fronteggiare una situazione sanitaria così grave. Il collasso dei centri sanitari locali (le Asl spagnole) era evidente già a settembre, coin grandi difficoltà nello smaltimento dell’enorme afflusso di persone con sintomi da Covid.
In merito alla sanità pubblica, è ancora El Paìs a invitare ad una autocritica: “La nostra sanità pubblica non era poi così buona“, titolava il quotidiano in un suo speciale di sabato sulla pandemia. Nonostante i dati dimostrino che il Servizio Sanitario spagnolo è fra i migliori al mondo, nell’approfondimento si sottolineano i danni causati dai tagli dell’ultimo decennio e dalla precarizzazione dei posti di lavoro. Questo in particolar modo a Madrid, una regione che è stata usata dal Partido Popular (negli oltre vent’anni al potere) per laboratorio di politiche neoliberiste pure, con grande investimento sul privato e pesantissimi tagli al settore pubblico. Ora, con una pandemia in corso, i nodi sono venuti al pettine.
Si avanzano anche critiche nella comunicazione del Governo: “chiamarla ‘nuova normalità’ potrebbe esser stato un errore”, suggerisce uno degli esperti interpellati dal quotidiano. Si sarebbe puntato troppo sull’ottimismo di un lento ritorno alla normalità, quando bisognava sottolineare i gravi rischi ancora presenti, pure in estate.
Le ipotesi sui giornali italiani
Anche sui giornali italiani sono state fatte ipotesi. In un articolo pubblicato su la Repubblica e scritto dalla giornalista Paola Del Vecchio, si sottolineano le difficoltà di Madrid, dove l’assistenza sanitaria non riesce a far fronte all’elevato numero di nuovi contagi. Una realtà, questa, ben nota a chiunque viva da vicino la realtà della regione madrilena, fra risultati dei test che arrivano in ritardo e una evidente lentezza nel gestire i nuovi positivi.
Ancora su Repubblica viene pubblicato, lo scorso 29 settembre, l’editoriale del fondatore del giornale spagnolo EL Paìs, Juan Luis Cebrian, che per dare una risposta al disastro nel quale è sprofondata la Spagna in questo autunno del 2020 risponde così: “La risposta è semplice: siamo di fronte a una gestione della crisi deplorevole, frutto dell’incompetenza dei responsabili, dello scontro ideologico fra i leader dei partiti e della debolezza delle istituzioni in un sistema minacciato dall’interno”.
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