
Il cantante di rap spagnolo Pablo Hasél (il cui nome reale è Pablo Rivadulla) è stato arrestato questa mattina, martedì 16 febbraio, a seguito di un intervento della Polizia catalana nell’Università di Lerida, in Catalogna, dove si era barricato. Il rapper, che è stato condannato a 9 mesi di prigione e ad una multa di 30.000 euro per “ingiurie e calunnie contro la Corona” e “apologia del terrorismo”, si era rinchiuso da lunedì 15 mattina nel rettorato dell’Università. Entro quel giorno scadeva il termine di consegna volontaria alle forze dell’ordine, per scontare la detenzione.
L’obiettivo del suo barricamento nell’Università catalana era rendere il più difficile possibile l’arresto da parte delle forze dell’ordine, e richiamare l’attenzione mediatica sul suo caso.
L’arresto è avvenuto martedì mattina con l’intervento dei Mossos d’Esquadra, la polizia catalana, che è intervenuta portando via uno per uno le persone che si erano barricate nell’Università insieme al cantante.
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Le sentenze
Il rapper Pablo Hasél era stato condannato già nel 2014 a due anni di carcere per apologia del terrorismo (articolo 578 del Codice Penale) per alcune sue canzoni, pubblicate sul canale YouTube, nelle quali si riferiva al terrorismo dell’ETA, del gruppo Grapo, di Terra Lliure e anche di AL Qaeda. Durante il processo il rapper aveva affermato di aver “manifestato la sua libertà di espressione e di creatività, come artista”, ma i magistrati avevano escluso che i messaggi diffusi su YouTube fossero protetti dalla libertà di espressione in quanto “nelle sue parole era evidente il discorso di odio”.
Le frasi incriminate
“Non è accettabile – si leggeva nella sentenza dei magistrati – nell’ambito della libertà di espressione, incitare alla violenza o realizzare un discorso di odio” come lo è il fatto di “desiderare nuove azioni dei gruppi terroristi”. In una delle sue canzoni, infatti, Hasel pronunciava la frase: “Magari esploda l’auto di Patxi López!” (ex presidente del governo basco, socialista). In un altra il rapper cantava così: “Che qualcuno infili una piccozza nella testa di José bono!” (ex presidente del Congresso dei Deputati e Ministro socialista).
In altre frasi, riferite a gruppi terroristi spagnoli come ETA o GRAPO, i magistrati hanno trovato le basi per la condanna di esaltazine del terrorismo, perché il rapper si augurava azioni violente di questi gruppi.
Non è la prima volta che in Spagna frasi pubblicate su Twitter nelle quali viene espresso un giudizio favorevole ad attentati dell’ETA, viene perseguito (vedi il caso di Cassandra Vera, che aveva ironizzato sull’attentato a Carrero Blanco ed aveva rischiato – venne assolta – un anno di carcere).
La seconda sentenza
Nel 2019 il tribunale dell’Audiencia Nacional aveva sospeso la condanna (Pablo Hasel non era ancora entrato in prigione) ma nel frattempo era arrivata una seconda sentenza, nella quale stavolta il cantante di rap veniva accusato non solo di apologia del terrorismo ma anche di “ingiurie alla Corona” e “ai corpi delle forze dell’ordine”.
Stavolta, ad essere incriminati, erano una sessantina di tweets pubblicati su Twitter fra il 2014 ed il 2018 nei quali Hasel scriveva frasi come: “la Famiglia Reale, sono dei parassiti”, oppure “La monarchia mantiene business criminali come il traffico di armi in Arabia Saudita” o ancora “La monarchia vive nel lusso a scapito dello sfruttamento e della miseria degli altri”.
Il manifesto di artisti e intellettuali in suo appoggio
Ad inizio febbraio circa 200 fra artisti ed esponenti della cultura spagnola, dal regista Almodovar all’attore Javier Bardem, avevano firmato un manifesto che chiedeva la messa in libertà del rapper.
Il governo Sanchez potrebbe intervenire
Il Ministero di Giustizia spagnolo, diretto da Juan Carlos Campo, potrebbe proporre una revisione dei reati di esercizio della libertà di espressione. L’idea è che siano esenti da conseguenze penali quelli commessi nel contesto di manifestazioni artistiche, culturali o intellettuali.
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