MADRID. Negli ultimi mesi in Spagna il governo di coalizione guidato da Pedro Sánchez (socialisti insieme a sinistra ecologista di Unidas Podemos) ha messo a punto una importante riforma del lavoro. Dopo nove mesi di trattative con sindacati e confindustria, il 23 dicembre è stato raggiunto un accordo tra le parti. Ora rimane il voto del Parlamento, che non è scontato. L’ultima riforma del lavoro in Spagna risale al 2012, all’epoca del governo di Mariano Rajoy (Partito Popolare, destra). Una riforma, quest’ultima, che venne approvata peraltro nel pieno della grave crisi scoppiata nel 2008. La nuova riforma, secondo il governo attuale, non è uno smantellamento della precedente, ma fa un salto in più, impegnandosi ad affrontare alcuni dei problemi più gravi del mercato del lavoro spagnolo, tra cui la elevatissima precarietà e i licenziamenti di massa in caso di crisi.
Il 23 dicembre lo storico accordo tra sindacati maggioritari e la confindustria spagnola
Il 23 dicembre scorso è stato il giorno dell'”accordo storico”, così lo ha descritto la vicepremier e ministra del Lavoro, Yolanda Díaz, che ha portato alla messa a punto della riforma. Dopo mesi di intense trattative, il governo attuale è riuscito a raggiungere un accordo tra sindacati maggioritari (UGT e CCOO) e la confindustria spagnola (CEOE). “Questa è la prima riforma che recupera e fa gudagnare diritti per i lavoratori”, ha detto la ministra de Trabajo, Yolanda Díaz.
L’obiettivo: ridurre la precarietà
La riforma ha come obiettivo, secondo il Governo, la riduzione della precarietà, che in Spagna raggiunge picchi altissimi con un enorme numero di contratti a termine, spesso legati – ma non solo – al settore turismo. Inoltre, si cerca di evitare licenziamenti di massa nel caso di nuove crisi, con la creazione di nuovi modelli di ERTE (cassa integrazione). Viene riequilibrato anche il potere di lavoratori ed imprenditori nelle trattative collettive. Vengono fatte numerose modifiche alla riforma del PP del 2012. Fino a pochi mesi sembrava impossibile che si raggiungesse un accordo, ma alla fine dopo nove mesi di trattative – nelle quali ha avuto un importante ruolo la ministra del lavoro Yolanda Diaz, attuale vicepremier e leader di Unidas Podemos – l’accordo è arrivato lo scorso 23 dicembre.
Ora manca il “sì” del Parlamento: non è scontato
In queste ultime settimane, dopo l’accordo tra parti sociali e governo di dicembre, l’attenzione si è focalizzata sulla ricerca dell’appoggio parlamentare. L’Esecutivo attuale deve infatti trovare i voti per portare avanti la riforma e farla approvare dalla maggioranza dei deputati. Il governo Sanchez, lo ricordiamo, è un esecutivo di minoranza e di volta in volta deve trovare i voti per approvare le leggi.
Il partito catalano ERC, che finora aveva appoggiato il governo, ha deciso di votare contro per una serie di motivi, e si schiererà quindi accanto alle destre (PP e Vox) che voteranno “no”. Voto contrario anche dal PNV (Partito Nazionalista Basco) e della sinistra indipendentista basca di Eh-Bildu, che in altre occasioni avevano appoggiato l’attuale governo. La riforma – che verrà votata giovedì 3 febbraio – dovrebbe però passare grazie ai voti di Ciudadanos e PDeCAT, che si sommeranno a quelli del Partito Socialista (PSOE) e UP, più altri partiti piccoli e singoli deputati del gruppo misto.
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