L’intervista a Steven Forti, autore del nuovo libro “Extrema Derecha 2.0” pubblicato in Spagna

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Steven Forti è uno storico italiano, professore universitario in Storia contemporanea presso l’Università Autonoma di Barcellona, è ricercatore e scrive per numerosi giornali e periodici spagnoli e italiani, tra cui Limes, la rivista Il Mulino, il periodico spagnolo Ctxt, Micromega e altri. Alla fine del mese di ottobre 2021 ha pubblicato in Spagna il libro “Extrema derecha 2.0 – Qué es y cómo combatirla“. In italiano possiamo tradurlo come “Estrema destra 2.0, che cos’è e come fronteggiarla”. Il libro è stato presentato già a Barcellona, Madrid ed altre città nei mesi scorsi, e Steven Forti è stato intervistato da numerosi giornali spagnoli in merito a questa pubblicazione, disponibile al momento solo in castigliano. Abbiamo realizzato questa intervista nel centro di Madrid, in occasione di una delle nuove presentazioni del libro. Intervista a cura di: Lorenzo Pasqualini.

L’intervista a Steven Forti sul nuovo libro “Estrema destra 2.0”

Steven Forti, cosa ti ha spinto a scrivere un libro sull’estrema destra attuale. A cosa serve, nel 2022, sapere cos’è l’estrema destra?

Le ragioni di questo libro sono essenzialmente due: la prima è che avevo voglia di fare un libro che, senza perdere di vista la precisione accademica, fosse anche di buona divulgazione ossia, arrivasse a più persone possibili, anche al di fuori dei circoli dei ricercatori universitari. Mi sono reso conto, infatti, che molte delle ricerche che si sono fatte negli ultimi anni nel campo delle nuove estreme destre molto spesso non arrivano all’opinione pubblica e quindi c’è anche una grande confusione sul tema, a partire da come definire questo fenomeno politico, spiegare le ragioni dei successi elettorali di queste formazioni.

La seconda ragione, invece, ha a che fare con una preoccupazione come cittadino, ossia il fatto che al giorno d’oggi le nuove estreme destre sono la maggiore minaccia per le democrazie liberali. Quindi, come si dice in spagnolo, volevo “aportar mi granito de arena“, dare il mio piccolo contributo affinché potesse essere non solo un dibattito più ricco e più preciso, grazie a quello che in ambito universitario si è fatto negli ultimi anni e decenni, ma anche una proposta per rendere più partecipe la cittadinanza nel comprendere questo rischio.

Nel tuo libro scrivi che, prima di mobilitarsi contro questi gruppi politici che preoccupano per i motivi che dicevi, vanno conosciuti, inquadrati. Dedichi infatti la prima parte del libro ad inquadrare anche a livello storico queste forze. Per esempio, ti poni la domanda su quali siano i legami con il fascismo del XX secolo. Tu arrivi alla conclusione che le estreme destre non possono essere liquidate come fascismo e che anzi, questa definizione può essere controproducente, oltre che sbagliata. Come mai?

Credo che da una parte ci sia stato una inflazione dell’uso del termine fascismo. Al giorno d’oggi fascista non è tanto la definizione di un militante o un riferimento a una persona che ha una certa ideologia politica, ma è soprattutto un insulto. La persona che non pensa come noi in una discussione da bar finisce per essere bollata come un fascista. Abbiamo avuto un’inflazione, una saturazione nell’uso di questo termine e si è perso di vista quello che il fascismo è stato a livello storico, quello che Emilio Gentile chiama fascismo storico, ossia un movimento e una ideologia politica che si sono sviluppati essenzialmente nell’Europa della prima metà del ventesimo secolo, soprattutto tra la prima e la seconda guerra mondiale.

Il fascismo storico ha delle caratteristiche ben precise. Lo stesso Emilio Gentile lo ha definito una religione politica. Disponeva di un partito milizia con delle forze paramilitari, si proponeva di instaurare un regime a partito unico di tipo totalitario, voleva inquadrare le masse, irreggimentarle in grandi organizzazioni e costruire un uomo nuovo. Si presentava come una rivoluzione palingenetica. Queste caratteristiche non le troviamo nei Trump, nei Salvini, negli Abascal e nei Le Pen. Dunque non è corretto parlare di fascismo. E infatti tra gli storici che si sono occupati e si occupano tuttora del Fascismo c’è un grande consenso sulla necessità di differenziare quello che è stato il fascismo interbellico del Ventesimo Secolo da quello che dopo il 1945 si è chiamato neofascismo, e da quello che al giorno d’oggi, negli ultimi 20-30 anni, possiamo definire come nuove estreme destre. Qui c’è un grande dibattito su come definire queste formazioni politiche. C’è chi parla di nazional-populismo, chi di post-fascismo, chi di destre radicali o destre radical populiste. Io, in forma provocativa, parlo di “estrema destra 2.0” per mettere in luce la novità di questo fenomeno.

steven forti
Lo storico Steven Forti.

A grandi linee, quali caratteristiche hanno in comune questi movimenti europei? Ci sono anche differenze tra i partiti di estrema destra dei diversi paesi?

Io parlo di una macro categoria. E forse sarebbe meglio declinarla al plurale e parlare di “estreme destre 2.0”. In primo luogo perché si tratta di una grande famiglia a livello globale che condivide molte più cose rispetto ai punti di divergenza o di dissonanza. In secondo luogo, perché esistono delle reti globali dell’estrema destra, fondazioni, associazioni, reti ultraconservatrici, che lavorano per mettere in contatto queste formazioni politiche per offrire un agenda comune e dei programmi comuni e anche per finanziarle, portando avanti determinati tipi di campagna. Ad esempio contro i valori democratici, contro i diritti LGTB, contro il femminismo, l’aborto, in difesa della famiglia tradizionale, eccetera.

Io credo questo sia un punto molto importante. Per quanto riguarda le caratteristiche in comune ci sono dei riferimenti ideologici comuni, ad esempio l’ultranazionalismo, la difesa a spada tratta della sovranità nazionale, che poi si declina anche con la critica al multilateralismo e l’euroscetticismo, nel vecchio continente. Il fatto di difendere valori ultraconservatori, come ricordavo poco fa. E poi ovviamente l’esistenza di questo presunto nemico, una minaccia all’identità nazionale, o alla “purezza razziale”, che è rappresentato dallo straniero, dall’immigrato. Qualcosa che si unisce anche alla islamofobia. E poi ovviamente la legge e l’ordine, l’anti-intellettualismo, per citarne solo alcuni.  Tutti questi sono riferimenti ideologici comuni a queste formazioni. Poi ci sono anche delle divergenze. In questi ultimi mesi, con la guerra in Ucraina, abbiamo visto chiaramente come ci siano state formazioni di ultradestra che fino a febbraio erano vicine alla Russia putiniana o guardavano a Putin come un modello, basato su identità, tradizione e sovranità. Dall’altra invece abbiamo visto formazioni più chiaramente atlantiste e meno vincolate alla Russia di Putin.

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Ma ci sono divergenze anche sui programmi economici.  Ci sono formazioni, pensiamo all’ex Fronte Nazionale di Le Pen, che difendono il “welfare chauvinism”, un welfare solo per nativi, solo per francesi. O anche formazioni ultraliberiste. Poi ci sono anche molte vie di mezzo. Vediamo Salvini. Da un lato la flat tax, dall’altro “quota 100”: sono misure che dal punto di vista economico non rispondono del tutto alle categorie classiche di sinistra e destra. È un po’ un minestrone. E infine anche sul fatto dei valori: per quanto siano tutte formazioni ultra conservatrici, vediamo che in alcuni paesi, essenzialmente nel nord Europa, in Scandinavia o anche nei Paesi Bassi, questi partiti sono un po’ più aperti su questioni come per esempio il matrimonio gay o anche l’aborto, rispetto a formazioni del sud o dell’est Europa – paesi cattolici o ortodossi e dove la religione ha marcato molto la storia politica del paese – che sono molto più radicali. Detto questo, io credo che sia importante anche sottolineare come ci siano poi punti in comune non solo dal punto di vista di riferimenti ideologici ma anche dal punto di vista delle strategie politiche. In particolare, il tatticismo, la forma con cui cercano di occupare lo spazio mediatico, eccetera.

Altri due aspetti che emergono dal tuo libro è che queste formazioni si presentano oggi con un aspetto che si può definire più presentabile rispetto a quello che era il fascismo storico, almeno con il metro di giudizio dei tempi attuali. Tu parli di una giacca e cravatta che si contrappone al saluto romano del passato. Almeno leggendolo con le lenti del presente, scrivi tu, hanno un aspetto più presentabile. D’altra parte queste formazioni hanno una certa capacità ad usare i mezzi di comunicazioni attuali, le reti sociali, e maggior capacità di attrarre il pubblico giovane. Un altro aspetto che emerge sempre dal tuo libro è che l'”estrema destra 2.0″ ha una grande capacità di approfittare della memoria molto corta, che è una caratteristica inquietante delle nostre società. Non si ricorda ciò che è successo due settimane fa, figuriamoci nel passato più remoto. Proprio per questo, si può dire che molti elettori che votano, o dicono di voler votare oggi partiti di estrema destra, non hanno la percezione di votare per forze politiche con queste caratteristiche?

Sicuramente. Il fatto è che queste nuove estreme destre non si definiscono tali. Sicuramente non si definiscono fasciste e neanche neofasciste. Al massimo possono strizzare l’occhio a un certo fascismo sociologico o a dei riferimenti lontani. Salvini che va al balcone di Forlì durante una campagna elettorale ormai due anni fa, ovviamente non rivendicava Mussolini o il regime fascista, ma ci sono queste frasi a mezzo, ammiccamenti. Dall’altra però non si definiscono neanche di estrema destra. Al massimo si definiscono conservatori. Dicono di difendere soprattutto quel che la gente comune dice e difende nelle strade, lontano dai palazzi.

Quindi, è difficile individuare queste formazioni politiche, anche perché spesso troviamo molti dei discorsi e delle pratiche politiche dell’estrema destra 2.0 in formazioni che fino a qualche anno fa erano di destra conservatrice tradizionale. Io ricorderei qui la questione di Fidesz, il partito ungherese di Orbán, che da esser un giovane anticomunista liberale finanziato da Soros nei suoi studi alla fine degli anni ’80, è poi arrivato al governo dell’Ungheria nel 1998 con una formazione liberale di destra pienamente democratica. Dal 2010 Orbán ha virato chiaramente verso l’illiberalismo ed ha trasformato Fidesz in un partito chiaramente di “estrema destra 2.0″ed il suo non è un caso isolato. Guardiamo ai Tory britannici o al Partito Repubblicano statunitense. Anche se non è successo come con Fidesz, siamo su una traiettoria simile.

Il libro di Steven Forti “Extrema Derecha 2.0”

Quindi da un lato è difficile a volte individuare queste formazioni politiche e dall’altro stiamo vivendo una fase come tu ricordavi segnata dal confusionismo ideologico. Le ideologie esistono ancora ed esisteranno, in buona misura, probabilmente sempre, perché questo dipende dai valori che si difendono e dai programmi economici e sociali che una formazione politica difende. Quello che è vero è che c’è una profonda crisi delle ideologie tradizionali che hanno segnato il Novecento. Democristiani, liberali, socialisti e cosi via. E dall’altra diciamo che c’è una maggior confusione, e queste formazioni giocano proprio con questa confusione. Possiamo parlare di parassitismo ideologico, la capacità di prendere di tutto un po’ e creare pot-pourri ideologici in cui non si capisce bene alla fine cosa dicono, cosa sostengono, dove si pongono. Se però facciamo un’analisi dei programmi, dei discorsi, dei riferimenti ideologici e teorici, sono chiaramente formazioni da situare all’estrema destra dello spettro politico.

Un’altra differenza dal passato, che emerge dal tuo libro, è che non c’è una ricerca di un rovesciamento violento delle strutture democratiche da parte di questi partiti. Quindi, perché queste formazioni rappresentano un rischio per la democrazia? Ci sono esempi in questo senso?

Il caso sintomatico è Orbán, in Ungheria, ormai al governo da 12 anni. Questo è l’unico paese in cui l’estrema destra è al potere da 12 anni, tre legislature intere con maggioranza assoluta e qualificata. Questo gli ha permesso di cambiare la Costituzione e fare un po’ ciò che voleva. Il caso dell’Ungheria è interessante. Da un lato è un modello per molte estreme destre, che potrebbero ripeterlo. Il caso della Polonia è altrettanto interessante e abbastanza simile. Dal 2015 è tornato al governo il Pis (Diritto e Giustizia), che sta seguendo il cammino ungherese. Orbán ha parlato di democrazia illiberale in un famoso discorso del 2014. Non possiamo parlare di un regime totalitario e neanche di un regime autoritario tout court. Si può però parlare di regime semi-autoritario. Si è coniato il termine “democratura”. Dal punto di vista politologico l’Ungheria attuale si può definire un regime ibrido. Non è più una democrazia piena, anche se continua formalmente ad esserlo visto che ci sono elezioni formalmente libere e partiti dell’opposizione. I mezzi di comunicazione sono però al 90 per cento nelle mani del governo, le circoscrizioni elettorali vengono modificate senza dialogo con l’opposizione per favorire il partito al governo e poi, ovviamente c’è una limitazione delle conquiste e diritti dati per assodati a fine Novecento. Quindi questo è il modello esistente. Per questo non possiamo parlare di regimi autoritari in senso stretto, come lo sono, in questa ondata autoritaria globale, altri leader e formazioni politiche come vediamo in Turchia, con Erdogan, o nella Russia di Putin di cui siamo tornati a parlare con forza in queste ultime settimane.

Ci troviamo a Madrid e qui in Spagna è emerso da pochi anni un partito dell’estrema destra. Si chiama Vox, nato dalla destra del Partito Popolare (PP). Proprio poche settimane fa è avvenuto un evento forse spartiacque nella politica spagnola, perché PP e Vox hanno raggiunto un accordo per governare insieme la comunità autonoma della Castiglia e León. L’estrema destra spagnola di Vox per la prima volta governerà insieme alla destra tradizionale, mentre finora aveva sempre appoggiato da fuori i governi conservatori. Che segnale è, anche in vista delle elezioni generali del 2023 qui in Spagna?

Un segnale molto preoccupante per tutte le persone democratiche. E questo ci mostra anche un’altra questione ancor più preoccupante, al di là del caso spagnolo della Castiglia e León, ed è il fatto che i conservatori, in questo caso i popolari spagnoli, sono l’anello debole delle nostre democrazie. Se infatti i  partiti conservatori che si definiscono e si sono definiti fino a poco tempo fa democratici, e che sono stati uno dei pilastri delle democrazie liberali dal 1945 in avanti, decidono di allearsi con le formazioni dell’estrema destra, amiche di Orbán, beh questo è un problema enorme per l’esistenza stessa dei regimi liberali. Ovviamente l’Italia è stato purtroppo un laboratorio in negativo. Perché 30 anni fa Berlusconi aprì le porte al Movimento Sociale Italiano di Fini, permettendo una legittimazione di queste formazioni politiche. Ormai infatti in Italia votare per Salvini o Meloni è visto come una cosa normale da parte di percentuali molto alte di cittadini italiani. Abbiamo però visto anche posizioni diverse, come quella della CDU di Angela Merkel che ha invece  mantenuto con rigore un cordone sanitario verso Alternative für Deutschland.

Da quel che si percepisce i popolari spagnoli hanno scelto la prima via. Io credo che ci possano esser due conseguenze. Da un lato queste formazioni di estrema destra possono cannibalizzare lo spazio della destra conservatrice, ed il caso italiano è sintomatico. Ormai Forza Italia è sparita e la destra è rappresentata solo dall’ultradestra (Lega e Fratelli d’Italia). Oppure potrebbe esserci uno scenario come quello britannico, dove il Brexit Party è praticamente scomparso ma i tories britannici si sono “brexizzati”, hanno adottato il linguaggio e le proposte politiche di un partito dell’ultra destra. In Spagna abbiamo quindi queste due possibilità. Alle prossime elezioni sembra dai sondaggi che il PP, per poter tornare alla Moncloa, avrà bisogno di Vox altrimenti non avrà la maggioranza. Sembra però che ci siano tensioni interne nel partito e bisognerà vedere se la nuova guida di Feijóo, nuovo leader del PP più moderato dopo la defenestrazione di Casado, cambierà rotta. In quel caso l’accordo in Castiglia sarà stato soltanto un errore di percorso. Oppure potrebbe esser mantenuta questa linea nei prossimi appuntamenti elettorali.

L’anno scorso, qui in Spagna, il partito Vox definiva i partiti che compongono l’attuale governo Sánchez “golpisti”, tra le altre cose per essersi seduti al tavolo con i partiti indipendentisti catalani. Colpisce che a usare questo termine sia un partito di estrema destra, in un paese dove il XX secolo è stato segnato da colpi di stato militari appoggiati e promossi proprio dalla estrema destra politica. 

L’estrema destra 2.0 gioca con il linguaggio e la confusione. L’obiettivo non è solo attaccare gli oppositori e conquistare il governo, ma è occupare lo spazio mediatico, mantenere l’iniziativa politica, occupare i mass media. Una dichiarazione come questa, del leader di Vox Santiago Abascal, occupa i media perché diventa notizia, provoca reazioni e quindi si viralizza sui social. Mantiene così l’attenzione su di sé. Come faceva Trump, quando lanciava tweet notturni che lasciavano basiti. Perché lo faceva? Perché così il giorno dopo tutti dovevano dire qualcosa rispetto a quello che il presidente diceva, gli dava centralità, gli permetteva di parlare delle cose che voleva lui.

Da una parte è quindi vera la contraddizione, parlare di golpisti quando la storia dell’estrema destra spagnola è segnata da più colpi di stato, soprattutto quello del ’36, con la conseguente drammatica guerra civile e 40 anni di regime dittatoriale franchista. Ma molto spesso per queste formazioni non esistono le contraddizioni, possono cambiare posizioni su molte questioni. Salvini definiva l’euro il più grande crimine della storia contemporanea nel 2013, nel 2016 brindava per il Brexit e chiedeva l’Italexit, nel 2019 voleva riformare le istituzioni comunitarie e nel 2021 entrando nell’esecutivo di Draghi si è definito “europeista”. Eppure, non è secondaria la posizione di un leader di un partito membro dell’UE, su cosa pensa dell’Unione Europea.

Dall’altra parte c’è anche la volontà di tacciare il governo Sánchez attuale come un governo bolivariano, chavista. Non solo quindi incapace, o “assassino”, come lo ha definito Vox durante i primi mesi della pandemia, ma anche un governo che vuole portare la Spagna al Venezuela di Maduro, e che avrebbe quindi questo piano dietro le quinte. Ovviamente sono tutte menzogne, ma alcuni di questi messaggi arrivano agli elettori, ed alcuni possono crederci.

Steven Forti, tu vivi a Barcellona e conosci molto bene la situazione politica della Catalogna, hai scritto molto su questo tema su giornali sia spagnoli che italiani, hai anche approfondito il processo separatista catalano nel periodo 2006-2017 in un recente lavoro. Quando hai pubblicato in autunno il tuo libro, su diversi giornali spagnoli è stato risaltato un paragrafo del tuo libro in cui parli di una parte del movimento indipendentista che è inquadrabile nella macro-categoria dell’estrema destra. Ci puoi riassumere questo punto?

L’indipendentismo catalano è un enorme magma eterogeneo in cui c’è un po’ di tutto. Si è infatti coniato il termine “procés” (processo), per parlare di quello che è successo dal 2010-2012 in avanti, fino almeno a due anni fa, in Catalogna. Ecco dentro il “procés”, dentro l’indipendentismo, ci sono formazioni diverse, ci sono movimenti di estrema sinistra anticapitalisti, pensiamo alla CUP, formazioni di centro, di centro-sinistra e di centro-destra, ma anche dei settori che possiamo definire di estrema destra 2.0. Per ora non sono movimenti maggioritari e non lo sono stati neanche in passato, ma hanno permesso che determinati tipi di discorso fossero accettati anche da persone che non sono di ultradestra. Penso ad esempio a una certa ispanofobia, o alla diffusione di discorsi di nazionalismo essenzialista.

Ovviamente non li rivendicano tutti gli indipendentisti, ma circolano di più rispetto al passato. Perché di fondo io credo che l’indipendentismo e il procés siano stati la declinazione catalana di questa ondata nazional-populista globale che in Europa abbiamo visto chiaramente dopo il 2010-2012. In Italia abbiamo avuto il Movimento 5 Stelle e la Lega di Salvini, a partire dall’ultima crisi economica, in Catalogna abbiamo avuto il procés. È stata la stessa cosa? No, ma risponde a uno stesso clima culturale e politico, con alcune proprie peculiarità ma anche elementi in comune. Il Brexit evidentemente è stato un fenomeno unico e irripetibile ma ci sono punti di contatto con quello che abbiamo visto in Catalogna. E non parlo dell’uscita o no dall’UE, visto che l’indipendentismo catalano è maggioritariamente europeista, ma di una serie di idee di fondo che hanno a che fare appunto con un clima culturale.

Altro tema purtroppo di attualità è la guerra in Ucraina per l’invasione armata della Russia, iniziata il 24 febbraio scorso. In Italia abbiamo visto Salvini in difficoltà per gli evidenti vincoli con la Russia di Putin in passato, mentre in Spagna Vox è arrivato a definire Putin “un comunista amico del governo Sánchez”, forse cercando anche in questo caso di distrarre dalle relazioni che anche l’estrema destra spagnola ha avuto col regime di Putin. Come mai la Russia di Putin ha avuto tanto interesse negli anni scorsi a una crescita delle estreme destre in Europa. 

Innanzitutto, mi pare logico che ora tutti i leader di estrema destra che sono stati vicini al Cremlino cerchino di nascondere quei vincoli, proprio ora che la Russia bombarda le città ucraine. Poi c’è chi ci riesce più o meno a nascondere questi vincoli e chi come Salvini non riesce, facendo figure molto grame, come accaduto in Polonia recentemente con un sindaco peraltro di estrema destra, che gli ha rinfacciato la sua vicinanza al leader russo. Tornando alla tua domanda, la questione di fondo è che vi è un interesse reciproco.

Da un lato Putin cercava movimenti politici che potessero destabilizzare l’Unione Europea e gli stati membri dell’UE. E in questo le estreme destre, che stavano ottenendo successi importanti, erano la migliore scommessa. Dall’altro lato, per queste estreme destre avere alle spalle un governo straniero che appoggiasse la strategia di comunicazione e che spingesse sulle fake news che gli facevano comodo era fondamentale. O che addirittura li finanziasse, come si è visto con l’ex Fronte Nazionale di Le Pen in Francia e come successo molto probabilmente in Italia con la Lega di Salvini. Ci sono ancora indagini in corso sul caso Metropol, con Savoini che si incontra a Mosca in hotel con persone vicine al Cremlino.

Ma poi c’è anche una notevole sintonia ideologica. Putin, al di là di quel che dice Vox, non è un comunista, è un nazionalista, dovrebbe essere chiaro a tutti, una persona che difende una visione del mondo ben precisa basata su identità, sovranità, tradizione, che sono questioni chiave per qualsiasi partito di estrema destra, da Salvini a Le Pen fino a Vox. Anche se poi nel caso di Vox non ci sono stati contatti così stretti con Putin come le estreme destre di altri paesi europei, anche Vox ha guardato con interesse al Cremlino e sembrerebbe che anche il partito spagnolo abbia ricevuto indirettamente soldi dal Cremlino, attraverso questa importante rete ultraconservatrice cristiana che in Spagna è Hazte Oir CitizenGO, probabilmente finanziata da un oligarca vicino a Putin. E Hazte Oir CitizenGO e Vox sono legatissime. Abascal e Arsuaga, fondatore di Hazte Oir CitizenGO, sono amici da tempo e molti membri di Vox sono anche membri di questa organizzazione. Vox è stato definito il braccio politico di Hazte Oir da uno studio del Parlamento Europeo. Quindi, per quanto Vox sia molto più atlantista, contatti con il Cremlino sì che ci sono stati. L’unico vero amico di Putin in Spagna è stato quindi Vox, e forse anche alcuni indipendentisti catalani.

Concludendo, tornando al libro, una parte del tuo lavoro è dedicata a cosa possiamo fare come persone che vivono in questa società, per fare in modo che queste formazioni non aumentino la propria influenza. Qualche spunto?

Angelo Tasca diceva che per conoscere il fascismo bisogna prima scriverne la storia mentre Togliatti diceva che per combatterlo bisogna prima studiarlo. Oggi c’è una conoscenza molto relativa su cosa siano le estreme destre, ci basiamo su stereotipi, sul sentito dire. Non vediamo come operano e come vedono il mondo queste formazioni. Invece sapere tutto questo è fondamentale, altrimenti non sappiamo che contromisure prendere. Poi è anche importante sapere perché ottengono importanti consensi elettorali. Una volta conosciuto questo, si possono prendere delle contro misure.

Io credo che la risposta dovrebbe essere poliedrica, quindi toccare diversi ambiti, perché le cause di questa avanzata elettorale delle forze politiche di estrema destra sono tante. Dall’altra dev’essere anche multilivello, quindi si può operare dalle istituzioni, dalla società civile, dai mezzi di comunicazione, nell’ambito delle reti sociali e delle nuove tecnologie promuovendo una vera democrazia dello spazio digitale. E poi tutti possono fare qualcosa. Non dobbiamo neanche essere fatalisti e pensare che si può fare poco, e che queste ultradestre continueranno a crescere. Sono sicuramente degli attori politici nei nostri sistemi e non scompariranno da un giorno all’altro ma si può fare comunque qualcosa al riguardo, si può lavorare. Conoscere la storia è importante, migliorare l’educazione è importante, promuovere una alfabetizzazione digitale è importante, proprio per andar contro le fake news e le teorie del complotto e la disinformazione. Promuovere un giornalismo etico che non cerca il clickbait (l’acchiappaclic) e che lavora con la verifica dei fatti, il fact-checking. Ognuno di noi può fare tanto.

Dobbiamo comunque renderci conto che viviamo in società sempre più individualiste e sfilacciate e che è quindi importante ricostruire delle reti comunitarie dal basso, che aiutino le persone a sentirsi meno sole, perché spesso la paura o la percezione di una paura relativa ai cambiamenti rapidi che stiamo vivendo portano molte persone a votare questi partiti. Partiti che sembrano infatti offrire sicurezza e protezione di fronte a questi cambiamenti, a questo mondo così difficile da capire. Credo questo sia molto importante. Dall’altro, credo che ogni cittadino dovrebbe domandarsi se vuole continuare a vivere in democrazie liberali, che ormai sono date per scontate. Perché l’unica alternativa sono le democrazie illiberali. E dunque, al di là di poter criticare le democrazie liberali, perché “non funzionano” o “sono migliorabili”, bisogna anche pensare che l’alternativa è la democratura di Orban.

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Lorenzo Pasqualini

Madrid a El Itagnol
Giornalista italiano a Madrid, caporedattore di Meteored Italia e autore-fondatore del sito di informazione "El Itagnol - Notizie dalla Spagna e dall'Italia".