La situazione in Spagna, con lo scontro frontale fra Governo di Catalogna e Governo centrale, è su tutti i giornali internazionali da settimane. La situazione è andata peggiorando sempre più negli ultimi due mesi.
Per capire un po’ più in profondità cosa sta succedendo, abbiamo rivolto alcune domande a Javier Lorente, ricercatore post-doc e Docente in Scienze Politiche presso l’Università Autonoma di Madrid.
Javier, qual è la situazione attuale in Spagna, dopo l’avvio delle procedure per applicare l’articolo 155, che di fatto “commissaria” la Comunità Autonoma di Catalogna?
La situazione è parecchio grave. Primo, perché l’articolo 155, che serve per commissariare una comunità autonoma e permette allo Stato di assumerne le competenze, non è stato mai applicato prima d’oggi.
Ci sono molti dubbi sulla sua portata, sui suoi limiti e requisiti. Si tratta insomma di un articolo generico, che non specifica nulla.
Secondo, perché in Catalogna circa il 70% dei cittadini è contrario alla sua applicazione, e questo porterà a proteste e, molto probabilmente, in un calo ancora più forte della fiducia nelle istituzioni nel nostro paese. Infine, perché non è chiaro se il Governo potrà imporlo in modo pacifico. L’amministrazione catalana, almeno in parte, resisterà e non seguirà gli ordini che arrivano da Madrid.
Se poi il 155 si applica allo stesso tempo in cui il Parlamento catalano approva l’indipendenza, la situazione sarà ancora più grave. Il governo catalano potrebbe non ascoltare le istruzioni di Madrid, non permettendo che venga sospeso l’esecutivo e continuando a mandare indicazioni ai dipendenti pubblici della regione. Non è poi neanche chiaro se la Generalitat de Cataluña riuscirà a imporre l’indipendenza in modo pacifico: probabilmente ci sarà molta resistenza anche in questa direzione.
Insomma, ci dirigiamo verso uno scontro fra treni che può distruggere la convivenza pacifica in Catalogna e, di conseguenza, in Spagna.
Crede che la rottura fra Spagna e Catalogna sia irreversibile?
In politica nulla è irreversibile, nonostante lo scenario attuale sia molto complesso…
Si poteva evitare questo “scontro fra treni”?
Doveva essere evitato. Il Governo della Catalogna ha spinto avanti un processo che, nel momento culminante, porta alla rottura dell’ordine costituzionale. Dall’altra parte, il Governo di Spagna non ha proposto nessuna alternativa per inserire nel sistema politico, in modo legale, quanto richiesto da una importante parte dei catalani.
Potrebbe interessarti. La diretta sulla situazione in Catalogna: seguila qui
Credo ad esempio che si sarebbe potuto discutere su una riforma costituzionale ed aprire il dibattito sulla competenza dei referendum, affinché la Generalitat potesse convocarne uno non vincolante. In questo stesso processo di ripensamento dell’ordine costituzionale si sarebbe potuto discutere sulla titolarità della sovranità. Nulla di questo è stato fatto, e le posizioni sono oggi più che mai polarizzate.
Perché una parte della Catalogna chiede l’indipendenza?
Parlare del conflitto territoriale in Catalogna ci farebbe andare molto indietro nel tempo. Per questo mi concentrerò su quello che è successo negli ultimi anni.
Fino al 2010, più o meno, i catalani che desideravano che la Catalogna diventasse uno stato indipendente erano nettamente minoritari. La maggior parte dei catalani si trovava a proprio agio nella cornice costituzionale del 1978, che, attraverso lo Statuto delle Autonomie, riconosce ampie competenze di autogoverno alle regioni spagnole.
Lo Statuto catalano venne riformato nel 2005, con una forte opposizione del Partido Popular, oggi al governo, e con l’appoggio del PSOE, di CiU e di Iniciativa Per Catalunya, e l’astensione di ERC. Lo Statuto venne promosso, ma venne modificato e ridotto dal Congreso de los Diputados, a Madrid, perché avrebbe contenuti articoli che si sovrapponevano con le competenze dello Stato. Il PP ricorse al Tribunale Costituzionale, il quale nel 2010 tornò ad eliminare altri articoli. Si creò quindi in Catalogna una forte sensazione di malcontento, che, nel mezzo della crisi economica, è stata capitalizzata dal partito catalano CiU. A partire da questo momento, spuntano fuori nuove richieste di autogoverno, che passano per il patto fiscale.

In sostanza, la richiesta era che la Catalogna potesse gestire da sola le sue tasse e che non ricevesse denaro dallo Stato per pagare i servizi pubblici.
Mariano Rajoy, nel 2012, negò questa richiesta. Ed è a partire da questo evento che CiU, che era fino ad allora stato un partito autonomista, si allea con ERC e cambia la sua agenda politica virando all’indipendentismo.
Vengono organizzate sempre più manifestazioni, che il PP ignora, si celebrano varie elezioni ed anche un tentativo fallito di referendum, il 9 novembre del 2014. La posizione si polarizza sempre di più fino ad arrivare ai giorni nostri, con un nuovo referendum fallito ed una probabile imminente dichiarazione di indipendenza.
Ci sono molti catalani che non si sentono spagnoli attualmente e in buona misura si può spiegare questo fatto con l’incapacità dello Stato di soddisfare alcune loro richieste. Anche se con altre percentuali, chiaramente, bisognerebbe anche aggiungere l’azione politica svolta dai partiti catalani, che hanno messo i termini del dibattito a favore dell’indipendenza.
La Catalogna è una regione oppressa dallo stato centrale, come dichiarano alcuni indipendentisti?
Non credo proprio. Lo è stata. Lo fu durante il Franchismo, in modo chiaro, ed anche durante la dittatura di Primo de Rivera negli anni venti del secolo scorso.
Detto questo bisogna dire che, quando governa la destra, dando enfasi all’unità della Spagna e tirando fuori simboli nazionali, molti catalani si sentono “scomodi”. Ma non parlerei di oppressione. Non credo si possa parlare di oppressione neanche dopo le immagini terribili e condannabili dello scorso 1 ottobre, con l’azione sproporzionata della polizia.
La Catalogna ha poca autonomia?
Credo che la Catalogna abbia avuto ampie dosi di autonomia politica. Ma bisognerebbe aggiungere due cose per puntualizzare la frase precedente. Da un lato, durante la crisi economica le Comunità Autonome hanno perso autonomia perché in un contesto simile è lo Stato quello che le finanzia.
Ed il governo del PP è stato particolarmente duro con gli impegni di spesa, incidendo sul come si prestavano alcuni servizi. Questo è successo anche a livello municipale. D’altro canto bisogna riconoscere che il PP non è proprio il partito più autonomista… ed ha “tic” centralisti che a molti catalani possono risultare non opportuni…
L’indipendentismo è sempre stato così forte?
Come già commentavo prima, c’è sempre stata una tensione territoriale volta ad una maggior forma di autogoverno in Catalogna.
Tuttavia, consultando i dati del Centro de Opinión Pública catalano (CEO) e del Centro de Investigaciones Sociológicas spagnolo (il CIS), il grande cambiamento si è verificato nel 2012.
È allora che inizia a crescere l’indipendentismo. Fino a quella data, anche se molti catalani cercavano maggiori spazi di autogoverno, lo cercavano sempre dentro la cornice costituzionale.
In questi giorni si sono viste in Spagna molte manifestazioni “nazionaliste”, alcune per l’unità della Spagna ed altre per la secessione della Catalogna. La guerra di bandiere che sta vivendo il paese, non contribuisce peggiorare il clima di tensione?
Secondo me sì. È un conflitto che polarizza. Quando l’indipendentismo si fa sentire, lo fa anche il centralismo. È quello che sta accadendo in questi giorni con le bandiere in giro per Madrid ed altre città. Io sono a favore di una distensione dell’ambiente e di una richiesta di dialogo. Con l’unilateralità della Generalitat e con la repressione statale, le cose possono andar male. Resta solo la violenza in un simile contesto.
Le manifestazioni “pro-Spagna” dei giorni scorsi sono l’espressione della destra spagnola, o c’è di tutto? Sembra a volte che esibire la bandiera spagnola sia sinonimo di destra, in questo paese. È vero o è una impressione?
Beh, in questi giorni sta manifestando molta gente. Mi sembra difficile difendere l’idea che quelli che manifestano, o una maggioranza di loro, siano espressione della destra. Non ho dubbi sul fatto che molti di quelli che hanno manifestato lo scorso 8 ottobre fossero di destra, ma la Spagna è una società plurale. E, contro l’indipendenza, non c’è solo la destra. Anche molti cittadini progressisti che temono le sue conseguenze.
Potrebbe interessarti. La guerra delle bandiere in Spagna: una guida per non perdersi fra vessilli ufficiali, storici, nostalgici e politici…
In Spagna la bandiera si associa in genere alla destra. C’è chi dice che la destra se ne appropriò, altri affermano che segna la continuità con il regime autoritario anteriore, perché ha gli stessi colori. Che ci sia questa percezione è chiaro, ma stiamo solo parlando di percezioni.
Sabato 7 ottobre, migliaia di persone hanno manifestato in Spagna per il dialogo, usando come slogan la parola “parliamo”. Hanno usato il colore bianco per il loro messaggio di dialogo, rifiutando l’uso di bandiere. Crede che questa strada possa funzionare?

Visti i fatti, no. A Madrid eravamo relativamente pochi, a quella manifestazione. Dico eravamo perché anche io ero lì.
Si è trattato di uno sforzo per evitare lo scontro fra treni, che può portare a situazioni molto tese, con l’uso della forza ed addirittura la violenza.
Legittima o no, questa forza può fare molto danno alla convivenza sociale e, io credo, dovremmo evitarla.
Il PP e Ciudadanos vogliono mano dura contro gli indipendentisti. Qual’è la posizione dei socialisti?
Mi sembra che il PSOE ed il PSC stiano mantenendo una posizione intermedia. Fino a che non ci sarà dichiarazione di indipendenza, reclameranno dialogo.
Potrebbe interessarti. La diretta sulla situazione in Catalogna: seguila qui
Ma nel momento in cui si producesse una dichiarazione di indipendenza, non avranno dubbi nell’appoggiare il PP per il ristabilimento della legalità vigente. Questo per loro è problematico, perché li vincola troppo al PP e li separa da Podemos.
E la posizione della sinistra spagnola? Podemos, Izquierda Unida…
Podemos e la sua “filiale” catalana (è scorretto chiamarla così, ma voglio che mi si capisca in Italia) mantengono una posizione più ambigua del PSOE. Difendono il diritto a decidere. Dicono cioè che il popolo catalano è sovrano ed ha diritto ad autodeterminarsi attraverso un referendum nel quale decida il proprio status giuridico. Qualcosa che, a mio giudizio, è possibile solo dopo una riforma costituzionale.
Questa posizione li ha portati ad essere molto critici con Mariano Rajoy, per aver impedito i referendum che erano stati richiesti (nel 2014 e 2017, ndt). Ed anche a criticare, con un profilo più basso, il Governo catalano. La posizione della sindaca di Barcellona, Ada Colau, è stata chiave in questo processo e si trova in una posizione intermedia che, io credo, potrebbe aver successo dal punto di vista elettorale in Catalogna, ma non così tanto nel resto della Spagna.
Poi ci sono anche i partiti nazionalisti, como il PNV (Partito Nazionalista Basco), che appoggiano il Governo Rajoy. La loro posizione critica con la gestione della crisi, potrebbe causare una crisi di governo?
Sì. Sembra infatti che il PNV potrebbe non appoggiare il Governo Rajoy nella votazione della Finanziaria 2018. Questo potrebbe portare ad una crisi di governo. Però quello che è risultato più evidente è stato il poco appoggio del PNV al processo catalano, visto che si tratta di un partito nazionalista…
Prima parlavamo della “guerra delle bandiere”. Il discorso del Re dello scorso 3 ottobre ha rimesso sul tavolo un altro grande dibattito, quello dell’attuale ordinamento dello Stato in Spagna. Crede che la crisi catalana farà tornare sulla scena il dibattito sulla necessità o meno di una III Repubblica?

Sono stato molto critico con il discorso del Re, perché non ha aperto nessuna via al dialogo. È chiaro che il Presidente Puigdemont ha violato la legalità costituzionale e che la chiamata al rispetto della legge era necessaria.
Tuttavia, alcuni di noi, speravamo in una voce mediatrice che servisse a togliere tensione e che invitasse al dialogo.
In ogni modo, non mi sembra che stia prendendo piede questo dibattito sulla monarchia. Anche se ad alcuni spagnoli ci ha deluso il modo di agire del re, è ancora molto presto per sapere che conseguenze avrà per la fiducia nelle istituzioni monarchiche e per valutare il ruolo di Felipe VI come re. Vedremo.
Una ultima domanda: prima le elezioni generali del 2015 hanno causato in Spagna una grave paralisi istituzionale durata mesi, segnando la fine del bipartitismo. Ora l’indipendentismo catalano mette in crisi l’intero sistema statale. C’è un filo conduttore fra questi eventi?
La Spagna aveva un sistema politico che tendeva al bipartitismo, anche se non lo era in realtà. È importante dirlo, e lo ripeto spesso, che dal 1993 ci sono state solo due legislature con maggioranza assoluta. Nel 1993, 1996, 2004, 2008 e 2015, i partiti che hanno vinto le elezioni hanno dovuto stringere accordi con altri partiti per poter governare. E questi partiti, fatta eccezione del 2015, sono quelli nazionalisti.

Questo ruolo dei partiti piccoli che davano o toglievano maggioranze gli ha sempre dato un protagonismo importante.
Il cambiamento che si è verificato nel sistema politico spagnolo dal 2014, con l’irruzione di Podemos e Ciudadanos, ha convertito la Spagna in un paese nettamente multi-partito. Questo ha indebolito i partiti tradizionali, soprattutto il PSOE, ma anche il PP. E questo produce a sua volta maggior instabilità politica, che l’indipendentismo catalano potrebbe aver usato per portare avanti la propria proposta politica.
Un altro filo comune che vedo è che, per la prima volta, un partito di ambito nazionale come è Podemos, si è posizionato a favore dell’autodeterminazione. Anche se non ho ben chiaro se questo favorisca l’indipendentismo.
Servono riforme nella Spagna di oggi?
Se qualcosa è chiaro nella crisi istituzionale che viviamo è che una parte della società catalana non si sente a su agio nella cornice costituzionale attuale. La Costituzione spagnola non ha visto praticamente quasi nessuna riforma Ci sono oggi più cittadini che non votarono per quel testo costituzionale (nel referendum del 1978, ndt), di quanti votarono. Speriamo che nuove elezioni portino sullo scenario leader politici capaci di canalizzare le ansie di riforma che, anche se in Catalogna sono molto urgenti, sono necessarie per tutto il paese.
Lorenzo Pasqualini
Ultimi post di Lorenzo Pasqualini (vedi tutti)
- Spagna, amnistia ai leader catalani e poi? I rischi di un governo Sánchez legato al partito di Puigdemont - 29 Settembre 2023
- Spagna, governo di destra nelle prossime ore? Solo con un “Tamayazo”, il più famoso caso di transfughismo spagnolo - 27 Settembre 2023
- In Spagna potrebbe nascere un nuovo governo nelle prossime ore, ma è quasi impossibile: ecco perché - 26 Settembre 2023
Commenta per primo
Devi accedere per postare un commento.