
“Il governo spagnolo preferisce agire con prudenza e senza fretta”. Queste le parole del portavoce di Rajoy, che dopo vari giorni di incertezza ha chiarito la posizione del governo dopo gli attentati di Parigi : prima del 20 dicembre, giorno delle elezioni, nessun intervento militare al fianco della Francia.
Subito dopo gli attentati di Parigi del 13 dicembre, fonti vicine al presidente del governo Mariano Rajoy avevano rivelato che l’esercito spagnolo era pronto a guidare le operazioni militari in Mali ed in Repubblica Centroafricana, adesso controllate dalla Francia. In questo modo sarebbero state “liberate” truppe francesi, da riutilizzare in Siria nei bombardamenti sulle roccaforti dell’Isis.
L’aiuto militare alla Francia nella sua “guerra totale” al terrorismo dello Stato Islamico venne però smentito il giorno degli attentati ad un hotel di Bamako, in Mali, costato la vita a 27 persone e a 13 terroristi. Oggi la conferma: fino al 20 dicembre, giorno delle elezioni generali, il governo non si sbilancerà.
Un portavoce della Moncloa ha affermato che non sono stati gli attentati in Mali a far cambiare idea al governo, bensì la posizione critica del leader del Partito Socialista, Pedro Sánchez.
Rajoy non ha nessuna intenzione di aprire un nuovo fronte in piena pre-campagna elettorale (si vota fra meno di un mese), specie se quel fronte si chiama guerra. I ricordi del 2004 del resto sono ancora vivi. L’11 marzo del 2004 un attentato terroristico a Madrid causò la morte di 190 persone e il ferimento di 1900. Gli attentati vennero rivendicati da Al Qaeda come punizione alla Spagna per la sua partecipazione alla guerra in Iraq. Mancavano solo tre giorni alle elezioni generali, nelle quali si presentava già Mariano Rajoy come candidato del Partido Popular.
Il governo uscente di Aznar, dello stesso partito, fece di tutto per addossare la colpa degli attentati sull’ETA e non riconoscere la responsabilità (seppur indiretta), ma la menzogna venne scoperta ad urne aperte, portando ad una clamorosa sconfitta dei popolari ed alla vittoria del socialista Zapatero.
Le manifestazioni contro la guerra in Iraq del 2003
La partecipazione della Spagna all’invasione militare dell’Iraq, guidata dagli USA, era stata voluta dal governo Aznar nel 2003, nonostante la forte contrarietà degli spagnoli. Il 15 febbraio 2003 ci fu la più grande mobilitazione mondiale contro la guerra della storia: a Madrid scesero in piazza 2 milioni di persone, a Barcellona 1 milione e 500 mila (a Roma, lo ricordiamo, ci furono 3 milioni di manifestanti).
Inoltre vari sondaggi mostravano il forte rifiuto degli spagnoli alla guerra, stimato in un 90%. Gli attentati dell’11 marzo 2004 non fecero altro che confermare nell’opinione pubblica l’inutilità di quell’intervento militare e la sua pericolosità, per aver esposto la popolazione civile al rischio di attentati.
È chiaro che Rajoy, che nei giorni successivi agli attentati del 2004 cercò in ogni modo di far ricadere sull’ETA la responsabilità dei 190 morti di Madrid, cerca adesso di mantenersi equidistante su di un tema così delicato. Incrociando le dita perché la Francia non richieda esplicitamente un appoggio militare, al quale la Spagna difficilmente potrebbe sottrarsi. In quel caso punterebbe sicuramente ad un appoggio incondizionato delle opposizioni, per non “morire da solo”.
Le posizioni di Ciudadanos, Podemos e Izquierda Unida su un eventuale partecipazione armata
Il leader di Ciudadanos, Albert Rivera, ha affermato pochi giorni dopo gli attentati di Parigi che il suo partito appoggerebbe un intervento militare in Siria “se all’interno della NATO e rispettando gli accordi dell’ONU”.
Pablo Iglesias, leader di Podemos, ha risposto invitando Rivera alla prudenza perché “sono in gioco vite umane” ed ha affermato che una decisione del genere andrebbe affidata al popolo spagnolo attraverso un referendum.
Izquierda Unida conferma la sua linea di sempre contro ogni intervento militare.
Lorenzo Pasqualini
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