
In Spagna, il reato di “sedizione” per il quale sono stati condannati tre giorni fa diversi leader indipendentisti catalani, è indicato nell’articolo 544 del Codice Penale.
Cosa dice il reato di sedizione in Spagna?
“Sono rei di sedizione coloro che, non compresi nel reato di ribellione – che implica anche l’uso della violenza, n.d.r. – si sollevino pubblicamente ed in forma di tumulto, per impedire con la forza o al di fuori delle vie legali, l’applicazione delle Leggi o il legittimo esercizio delle funzioni, il rispetto degli accordi, o delle risoluzioni amministrative e giuridiche, a qualsiasi autorità, corporazione ufficiale o funzionario pubblico”. La pena può arrivare a 15 anni di reclusione, tra le più severe d’Europa.
Confrontare due paesi è sempre complesso, ma in queste ore – dopo la sentenza ai leader indipendentisti della Catalogna – in molti si sono chiesti: “a cosa corrisponde in Italia il reato di sedizione”? Se lo sono chiesto anche alcuni giornali spagnoli, che hanno cercato casi similari in Europa. Non trovando in realtà molte somiglianze.
L’equivalente alla sedizione in Europa: pene più ridotte ed il requisito dell’uso della violenza (eldiario.es)
Il reato di sedizione infatti, che affonda le radici in un passato remoto, in altri paesi europei viene sempre accompagnato ad atti di violenza. La sentenza ai leader indipendentisti sottolinea invece l’assenza di violenza nelle mobilitazioni indipendentiste. Un paradosso, che viene criticato in queste ore da alcuni giuristi spagnoli, che vedono un pericolo di criminalizzazione di altri tipi di proteste.
In Italia esiste il reato di sedizione?
In Italia non esiste un reato di sedizione nella forma vista in Spagna. Un reato per certi versi confrontabile è quello di resistenza a un pubblico ufficiale, e contempla l’uso della violenza o la presenza di una minaccia.
La resistenza a pubblico ufficiale
La resistenza a un pubblico ufficiale corrisponde all’articolo 337 del Codice Penale. La pena può andare dai 6 mesi ai 5 anni di reclusione.
L’adunata sediziosa, fino a un anno di reclusione
Esiste il reato di “radunata sediziosa”, che però è del tutto diverso da quello di sedizione di cui abbiamo parlato sopra. L’articolo 655 del codice penale italiano indica: “Chiunque fa parte di una radunata sediziosa di dieci o più persone è punito, per il solo fatto della partecipazione, con l’arresto fino a un anno”.
Secondo le spiegazioni di questo articolo, sediziosa è quella condotta che suoni come ribellione, rivolta, ostilità, insofferenza verso i pubblici poteri o verso gli organi statali. Siamo quindi sempre nel campo dell’ordine pubblico. Recentemente questo reato è stato applicato in seguito a eventi di piazza con presenza di violenza, come ad esempio contro i militanti neofascisti che avevano protestato contro i nomadi a Roma, a Casal Bruciato, o nei confronti di un gruppo di extracomunitari che si era rivoltato contro la polizia a Reggio Emilia. Casi insomma molto diversi e lontani da quello spagnolo.
Il “reato di saccheggio e devastazione”
Per trovare pene di 10 o più anni per reati che abbiano a che vedere con l’ordine pubblico, in Italia, bisogna andare all’articolo 419 del Codice Penale. Questo articolo, indica il reato di devastazione e saccheggio e affonda le sue radici nel Codice Rocco risalente al regime fascista (1930), poi modificato nel 1947.
L’articolo recita che “chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 285 (che include l’atto di strage e comporta la pena dell’ergastolo), commette fatti di devastazione o di saccheggio è punito con la reclusione da otto a quindici anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico.
Applicato in molte manifestazioni degli ultimi anni sfociate in scontri e guerriglia urbana, dal G8 di Genova al corteo degli “indignati” del 15 ottobre 2011 a Roma.
Accompagnato da polemiche e discussioni, questo reato ha portato alla condanna di numerosi manifestanti negli ultimi anni in Italia: si tratta di manifestanti che avevano partecipato a manifestazioni sfociate in guerriglia urbana o atti violenti, come quelle del G8 di Genova (luglio 2001) o i fatti di Roma del 15 ottobre 2011, per citare quelli più famosi. Il reato viene contestato con frequenza a militanti politici che partecipano a cortei violenti ed anche ad ultras di stadio che hanno partecipato a scontri. Viene però sempre prevista la presenza di violenza.
Interruzione di servizio pubblico
L’articolo 340 del codice penale italiano si intitola “Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità” e riporta: “chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge, cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno. I capi, promotori ed organizzatori, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni“.
Anche in questo caso, non è il caso della Catalogna, nel quale i leader politici sono accusati di aver ostacolato il funzionamento delle leggi e degli apparati dello Stato, non di un servizio pubblico.
Attentati contro l’integrità, l’indipendenza o l’unità dello Stato
L’articolo 241 del Codice Penale italiano prevede il reato di “Attentato contro l’integrità, l’indipendenza o l’unità dello Stato”. La pena prevista fino al 2006 era pesantissima: ergastolo. Poi modificata nel 2006, oggi prevede 12 anni di carcere.
Negli anni ’90, quarantuno dirigenti della Lega Nord, a quel tempo partito indipendentista, vennero rinviati a giudizio. Fra questi c’era anche Umberto Bossi. Avevano infatti preso parte a una serie di iniziative secessioniste per portare il nord Italia all’indipendenza, con il nome di Padania.
Le modifiche del 2006 volute dal governo Berlusconi
Fino al 2006, il reato non prevedeva l’uso della violenza e recitava così: “Chiunque commette un fatto diretto a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l’indipendenza dello Stato, è punito con l’ergastolo. Alla stessa pena soggiace chiunque commette un fatto diretto a disciogliere l’unità dello Stato [..].
Nel 2006, il governo Berlusconi III trasformò questo articolo – secondo le opposizioni per evitare ai dirigenti della Lega di essere condannati – depenalizzando e modificando l’articolo. Ricordiamo che il governo Berlusconi era formato da Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega Nord e Udc.
L’articolo del codice penale è stato trasformato nel 2006 in questo modo: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti violenti diretti e idonei a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l’indipendenza o l’unità dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni. La pena è aggravata se il fatto è commesso con violazione dei doveri inerenti l’esercizio di funzioni pubbliche”.
In sostanza, viene aggiunta la presenza della violenza, e la pena si riduce da ergastolo a dodici anni.
Altri attentati allo Stato
In Italia altri articoli del codice penale raccolgono i reati contro la Costituzione dello Stato (articolo 283) e contro organi costituzionali e assemblee regionali (articolo 289). In entrambi questi articoli non era contemplata, fino al 2006, la presenza di violenza nelle azioni (si poteva quindi in questo caso trovare una somiglianza con il caso spagnolo).
La modifica del 2006, ad opera del governo Berlusconi III, ha aggiunto invece la necessità dell’utilizzo di violenza.
In sintesi, nel codice penale italiano non troviamo un reato paragonabile con quello di “sedizione” usato dai magistrati spagnoli per condannare i leader catalani. Anche il reato di “attentato all’integrità dello stato”, del quale vennero accusati numerosi dirigenti leghisti negli anni ’90, prima non contemplavano necessariamente l’uso della violenza, ma dal 2006 ne richiedono la presenza.
Lorenzo Pasqualini
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